Topi, botte e 24 in una cella. L’incubo di Filippo nel carcere rumeno
I topi che si nascondevano nei materassi putridi, gli salivano sul corpo durante la notte e mangiavano le poche provviste a disposizione erano solo l’inizio dell’incubo. Dopo i 21 giorni di quarantena Covid nel carcere di Porta Alba, nella città rumena di Costanza, Filippo Mosca e l’amico arrestato con lui sono stati trasferiti in una cella di 35 metri quadrati con altri 22 uomini. «Mercoledì scorso mio figlio è stato aggredito da uno di loro, che è un po’ il capo là dentro. Prima l’ha preso a pugni, poi gli ha lanciato contro una brocca d’acqua calda. Un altro detenuto ha tentato di accoltellarlo», è sconvolta Ornella Matraxia, madre del 29enne che prima di questa brutta storia era un ristoratore e abitava a Caltanissetta.
La vicenda è venuta fuori venerdì grazie a una trasmissione radio di Rita Bernardini, presidente dell’associazione Nessuno tocchi Caino. Lunedì il deputato di Iv Roberto Giachetti ha depositato un’interrogazione per chiedere al governo cosa intende fare per tutelare il concittadino.
Ma riavvolgiamo il nastro seguendo il racconto di Matraxia. Il 29 aprile 2023 Filippo, con la fidanzata e una coppia di amici, parte dalla Sicilia per il festival internazionale di musica Sunwave, sulla spiaggia Mamaia a nord di Costanza. Nella zona ci sono altri gruppi di conoscenti, alloggiano in hotel diversi. Alla vigilia del rientro a casa una ragazza italiana chiede di far recapitare un pacco nell’albergo di Filippo, perché nel suo non è riuscita a riceverlo. Dentro dovrebbero esserci degli effetti personali, invece la polizia trova 150 grammi di varie sostanze stupefacenti. Ha intercettato l’involucro e porta in commissariato la destinataria, Filippo (che ha in tasca mezzo grammo di marijuana), l’amico e la fidanzata. Solo quest’ultima sarà liberata, nonostante la prima ragazza dichiari subito di essere l’unica responsabile della spedizione.
L’avvocato Christian Bogaru, uno studio internazionale tra Ginevra e Bucharest, spiega che tutte e quattro le persone sono state trattenute per 24 ore senza mandato del giudice. E nessun magistrato ha autorizzato le intercettazioni ambientali realizzate nel commissariato. «È questa la prova principale su cui si basa la condanna di primo grado. Ma la legge è chiara: le prove ottenute in maniera irregolare non possono valere in un processo», afferma Bogaru. Il legale sottolinea che le conversazioni sono state trascritte in maniera parziale, con molti errori e direttamente in rumeno. Gli altri due elementi dell’accusa sono l’analisi chimica delle sostanze e gli scambi di messaggi telefonici. «Nessuno collega la spedizione a mio figlio», dice Matraxia.
Il 12 dicembre scorso, però, arriva la doccia fredda: i tre imputati sono condannati a 8 anni e tre mesi per traffico internazionale e possesso di droga. Filippo e il suo amico ricevono la stessa pena della ragazza che anche in aula ha ribadito di essere l’unica proprietaria del pacco. «Ho sempre detto a mio figlio di tenere duro perché lo avrebbero assolto, che gli avvocati ne erano convinti. Ma adesso è crollato. Non so come potrà reggere in quelle condizioni», dice la madre. Ogni mese, da Londra dove vive, va a Bucharest e affitta un alloggio dove è possibile cucinare un pasto caldo. In prigione, racconta, servono una brodaglia che non mangia nessuno. Tutti acquistano scatolame e salumi da uno spaccio interno. È possibile farsi una doccia a settimana, se c’è acqua. L’unico dato positivo è che si può telefonare ogni giorno per un’ora e ricevere fino a sei visite al mese. All’inizio dietro un plexigas, adesso senza. Così madre e figlio si sono potuti finalmente riabbracciare. Dopo l’ultima aggressione il ragazzo è stato trasferito in un’altra cella (invece di spostare chi ha perpetrato la violenza). Così ora è lontano anche dall’amico con cui condivideva la detenzione.
Matraxia è stata sia all’ambasciata italiana a Bucharest che alla Farnesina. Le hanno detto che non possono fare nulla per il processo e che la richiesta di trasferimento è inutile: le carceri del paese si trovano tutte nella stessa condizione. L’avvocata Armida Decina, intanto, è in attesa di presentare un ricorso urgente alla Corte europea dei diritti dell’uomo sulle condizioni di detenzione. «In primo luogo pretendiamo che i suoi diritti fondamentali siano tutelati – afferma Matraxia – In secondo che sia giudicato in un processo equo. È incredibile che accadano queste cose in un paese europeo». L’appello è fissato per il prossimo 11 aprile.
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