L’eco mediatica che il caso ha avuto ieri in Italia e di riflesso sui media rumeni ha prodotto un primo effetto positivo nell’incubo che Filippo Mosca sta vivendo nel carcere di Porta Alba a Costanza, città affacciata sul mar Nero. «È stato trasferito in una cella più piccola e sicura, da sei persone. Insieme all’amico arrestato con lui e ad altri italiani che si trovano nello stesso penitenziario. La cella ha bagno e doccia, in modo da separarli da altri detenuti violenti. Trascorreranno l’ora d’aria in un cortile diverso per motivi di sicurezza. Gli hanno anche consegnato dei materassi nuovi di zecca», dice Ornella Matraxia, madre del ragazzo arrestato a maggio 2023, il giorno prima di rientrare in Italia al termine del festival Sunwaves. Il 29enne risiedeva a Caltanissetta e aveva lavorato a lungo come ristoratore in Spagna, prima di tornare in Sicilia nel 2021. In Romania era andato per partecipare al raduno musicale internazionale, sulle grandi spiagge a nord del centro urbano, insieme a diversi gruppi di amici e conoscenti.

Il 12 dicembre scorso è stato condannato a 8 anni e 3 mesi di carcere con un altro siciliano e una ragazza italiana residente a Barcellona. Il reato è traffico internazionale e possesso di droga, per un pacco da circa 150 grammi di sostanze stupefacenti – mdma, ketamina e hashish – che la ragazza avrebbe chiesto di farsi recapitare all’hotel dove alloggiavano gli altri due. Si è presa tutta la responsabilità prima davanti alla polizia e poi in aula, ha denunciato sul manifesto di mercoledì Christian Bogaru avvocato di Filippo. Ma non è servito a nulla: tutti e tre gli imputati sono stati condannati, tutti e tre alla stessa identica pena. Il legale ha anche riferito che il lungo trattenimento nella caserma della polizia era avvenuto senza mandato del giudice e le intercettazioni ambientali realizzate nel frattempo non erano state autorizzate e sono state trascritte in modo irregolare. Dunque non potevano valere come prova.

«Si è trattato di un processo farsa», attacca la madre, che da nove mesi fa su e giù tra Londra, dove vive con altre due figlie, e Costanza. Oggi una delle sorelle andrà a trovare Filippo. In tutto questo tempo Matraxia si è fatta sentire più volte all’ambasciata italiana a Bucharest e poi alla Farnesina, chiedendo che le autorità italiane tutelassero suo figlio. «Sono stata lasciata sola dalle istituzioni», si era sfogata nei giorni scorsi. Fino a ieri il ragazzo aveva vissuto in una cella di 35 metri quadri con altre 23 persone, tra topi, cibo immangiabile e violenze. «Dopo l’ingiusta condanna si è depresso molto e ha espresso la voglia di farla finita», diceva preoccupata.

Ieri la donna ha potuto tirare finalmente un primo sospiro di sollievo, ma solo parziale. «Sono migliorate le condizioni di sicurezza – dice Matraxia – ma certamente non sono rispettati neanche lontanamente gli standard detentivi europei». Il 12 febbraio l’avvocato presenterà l’ennesima domanda di domiciliari, segnalata anche all’ambasciata italiana. Ovviamente non si può sapere se avrà qualche effetto. Resta poi l’altra richiesta su cui Matraxia batte: «Filippo ha diritto a un giusto processo. Bisogna tenere alta l’attenzione mediatica». L’appello è fissato il prossimo 12 aprile.