Il governo Meloni dovrebbe presentare la richiesta della quarta rata del «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr) entro la fine di giugno, quelle per la quinta entro dicembre. Ma è in ritardo già sulla terza da 19 miliardi di euro che resta bloccata. Per la fondazione Openpolis che sta conducendo un affilato e documento lavoro di inchiesta sulla piattaforma openpnrr.org le scadenze non completate che impediscono lo stanziamento sono 11. Dovevano essere realizzate entro il secondo semestre del 2022.

Openpolis si è soffermata ad esempio su interventi come la ristrutturazione o fornitura di Ict alle persone con disabilità; il sostegno al potenziamento della cybersicurezza e il potenziamento dei centri per l’impiego. Sul portale «Italia domani», usato dal governo anche per attestare lo stato di avanzamento del piano, è stato annunciato il completamento di 327 centri. Tuttavia, per Openpolis, mancano il monitoraggio e la relazione annuale citate dal meccanismo di verifica.

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Ci sono anche i nuovi posti letto negli alloggi per gli studenti universitari sui quali molto si è discusso in queste settimane grazie alla protesta delle tende organizzata dagli studenti che hanno contestano la destinazione di 660 milioni di euro ai privati. In questo caso l’obiettivo doveva essere raggiunto entro dicembre, ma è stato completato ufficialmente a febbraio, con l’assegnazione di 4.661 posti letto. Ma la forma dice poco sul contenuto, ovvero sulla qualità dei posti letto che saranno realizzati. In parte, come più volta scritto nelle inchieste pubblicate su Il Manifesto, si tratta di posti esistenti e riassegnati.

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Da questa notevole opera di data journalism emerge il fatto che le cause dei ritardi che bloccano la terza rata del Pnrr sarebbero dovute a lentezze burocratiche. Questa è la croce, e la delizia, di un piano che chiede di «sburocratizzare» e «liberalizzare» mentre moltiplica burocrazia e i vincoli esterni. Non sono formalità, ma l’essenza stessa della politica pubblica concepita per abilitare l’esercizio della libertà di impresa e della concorrenza. Il paradosso finisce per bloccare l’entrata in vigore e l’attuazione di ciò che è stato previsto.

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Il governo ha sottolineato che le scadenze sotto osservazione da parte della Commissione Europea sono responsabilità del governo Draghi. Una valutazione veritiera, ma che non andrebbe separata dal problema principale che aveva anche quell’esecutivo: la capacità di realizzare le opere calate dall’alto. In questa cornice rientra anche l’annunciata proposta di rivedere il Pnrr, a causa dell’aumento dei prezzi e del cambiamento di scenario economico avvenuto all’indomani della guerra russa in Ucraina. A ciò si è aggiunto il capitolo sul Repower Ue. La proposta italiana dovrebbe essere inviata a Bruxelles.

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«Il governo Meloni già in campagna elettorale aveva detto che nel Pnrr c’erano gravi ritardi, andavano stralciati i progetti irrealizzabili e redistribuiti i fondi – sostiene Luca Del Poggetto, analista della fondazione Openpolis sul Pnrr – Il ministro Fitto che si occupa anche di Pnrr ha parlato di una mappatura di questi progetti, ad oggi di questo lavoro non c’è traccia. La Commissione Ue ha dato una prima scadenza il 30 aprile per presentare eventuali modifiche. Quella era una data non perentoria. Il governo si è reso conto di non farcela. Ora la scadenza è il 31 agosto. Il passaggio non sarà semplice. Bruxelles si prenderà almeno due mesi per approvare il nuovo piano. E saremo arrivati alla fine dell’anno. Il Pnrr finirà nel 2026. Rischiamo di trovarci ancora più in ritardo e in emergenza. Dai documenti disponibili il governo appare in difficoltà. Tra l’altro rilascia dichiarazioni contraddittorie alla stampa».

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Altro problema è la mancanza di trasparenza delle informazioni. «È stato fatto un passo avanti con la pubblicazione dei dati sui progetti – continua Dal Poggetto – ma quelli rilasciati arrivano con un anno e mezzo di ritardo. Non abbiamo la certezza che saranno aggiornati. Sarebbe importante che ciò avvenisse con continuità altrimenti ci troveremmo davanti a iniziative spot che lasciano il tempo che trovano. I dati forniti ci dicono dove i progetti saranno realizzati ma non a che punto sono, se sono partiti, o sono nella fase i progettazione. Un’altra criticità è che molti dei dati su “Italia domani” non sono validati. I progetti che abbiamo importato sulla nostra piattaforma sono oltre 138 mila, di questi solo 50 mila sono stati validati dai ministeri. Abbiano la ragionevole certezza che siano corretti. Sugli altri non l’abbiamo. Sono i soggetti attuatori che devono caricare i progetti sulla piattaforma Regis. Noi esortiamo chi ci segue a segnalare eventuali errori che correggiamo sulla nostra piattaforma».