Politica

Manovra, leghisti e forzisti a braccetto contro Giorgetti

Il ministro Giorgetti alla Camera foto AnsaIl ministro Giorgetti alla Camera – foto Ansa

Bilancio Mef obbligato ad aumentare le entrate. Maggioranza in rivolta: «Contrarissimi a nuove tasse». Il ministero fa muro: «Non c’è nulla di definitivo. Non ci sono ancora neppure ipotesi»

Pubblicato circa un mese faEdizione del 5 ottobre 2024

È il ministero dell’Economia però sembra che sia Gaza. Piovono bombe da tutte le parti e il fuoco amico è più micidiale di quello avversario. Nel mirino c’è la proposta del ministro Giorgetti di far pagare lo sforzo necessario per rientrare nei parametri soprattutto a chi ha realizzato i maggiori profitti e ricavi: ipotesi realista e proprio per questo considerata impresentabile. I dati Istat con la stima tendenziale del Pil nel secondo trimestre rincarano la dose: la crescita passa dallo 0,6 allo 0,4%. Vuol dire che l’obiettivo del Pil all’1% traballa e tra le conseguenze dirette ci sarebbe un aumento del peso del fisco rispetto al Pil complessivo. Circolano idee avventate, come quella di aumentare di ben 5 euro le sigarette, mentre resta in ballo lo spettro di un aumento delle accise anche se Chigi conferma che non si tratterà solo di riallineamento a somma zero. L’impostazione esplosiva squadernata da Giorgetti non cambierebbe comunque. Servono come l’ossigeno nuove entrate.

L’OPPOSIZIONE fa il suo mestiere. Spara anche se a casaccio. Accusa Giorgetti di voler «mettere le mani nelle tasche degli italiani» e di non far pagare i ricchi. Per la verità, almeno a parole, l’indicazione di Giorgetti era opposta, al punto da citare quell’articolo 53 della Costituzione che imporrebbe a tutti di concorrere alla spesa «in ragione della loro capacità contributiva». Nella maggioranza i primi a mitragliare il ministro numero 2 della Lega sono stati i leghisti, con Salvini in testa. Lui, figurarsi, apprezzerebbe un contributo delle banche ma solo se «volontario».

Dovrà aspettare il prossimo millennio. Divisi su tutto leghisti e forzisti si ritrovano a braccetto nel fare muro contro la proposta indecente del ministro. «Siamo contrarissimi a nuove tasse», si innalza l’assolo di Tajani nel nutritissimo coro azzurro in cui spicca anche l’acuto della ministra Casellati. Dopo qualche ora il ministro degli Esteri stempera i toni, ma non la sostanza. Giorgetti, poverino, non ha colpa: «Credo che sia stato mal interpretato». Non che le parole del ministro dessero adito a molti fraintendimenti.

DI TASSE NON HA PARLATO e probabilmente ha in mente una qualche forma di contributo. Ma la sostanza cambia poco. Sempre di aumentare le entrate pescando tra chi ha fatto più soldi negli ultimi anni si tratta e proprio quella è la bestemmia per i compagni di governo e maggioranza.

I PIÙ PRUDENTI sono i Fratelli, forse perché sin qui la premier ha sempre aderito in pieno alla linea austera del suo ministro. Oppure perché se qualcuno si rende conto di quanto aderente alla realtà sia la posizione di Giorgetti, quella è proprio lei, al netto dell’irritazione per l’intempestività di parole pronunciate a borse aperte. Il capogruppo Foti si smarca rivendicando il silenzio che è sempre d’oro: «Tutte fake news. Lasciamo a chi deve scriverla il compito di illustrare la manovra». L’audizione in Parlamento di Giorgetti è fissata per martedì e in quell’occasione, forse, chiarirà il senso delle sue affermazioni.

AL NO PASARAN della politica corrisponde quello dei diretti interessati. Le banche di un contributo proprio non vogliono sentirne parlare. Tutt’al più accetterebbero il differimento di un anno del credito d’imposta. Per il resto il presidente Patuanelli si dichiara convinto che Giorgetti intendesse solo dire che i colleghi ministri devono controllare meglio le voci di spesa. Insomma il parere generale è che Giorgetti tutto ha detto tranne quel che ha appunto detto. La sola sponda il ministro l’ha trovata ieri in Emanuele Orsini, nuovo presidente di Confidustria. Dopo un incontro con Giorgetti si dice «molto soddisfatto», assicura la piena intesa sulla necessità di «investimenti per le industrie» ed è l’unico a dirsi pronto a qualche sacrificio: «Siamo disposti a ripensare parte delle Tax Expenditures. Sono 120 miliardi e c’è la necessità di trovarne 10».

NON È MOLTO ma è sempre più di quello che sia disposto a concedere chiunque altro. Martellato da tutte le parti, il ministero si trincera nel silenzio: «Non c’è nulla di definitivo. Non ci sono ancora neppure ipotesi». C’è solo da augurarsi che sia una bugia perché in caso contrario la situazione sarebbe davvero disperata.

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