Fitto, ministro responsabile del Pnrr, sventola bandiera bianca, getta la spugna. Così almeno secondo La Stampa, che pubblica un colloquio col ministro di quelli che definirli deflagranti è poco. L’interessato smentisce: «Frasi e sintesi che non ho mai pronunciato». Il collega Urso corregge e precisa: «Fitto è stato frainteso». Il quotidiano torinese, invece, «conferma ogni parola». Un copione classico ma non è che sia facile «fraintendere» affermazioni come «il Pnrr va smantellato e profondamente cambiato anche negli obiettivi. Altrimenti rischiamo di farci male, molto male». Oppure: «Gran parte del Pnrr non è spendibile. Quindi stiamo immaginando cambiamenti importanti. Ciò comporterà il definanziamento di una serie di interventi non strategici». Più che di fraintendimento si tratterebbe di clamoroso falso e suona improbabile.

SOPRATTUTTO LA PAROLE smentite da Fitto sono perfettamente aderenti a quella che sembra proprio essere la cruda realtà dei fatti. La terza rata del Pnrr, 19 miliardi, ferma dal 28 aprile e che a 22 giorni dalla scadenza del secondo mese di proroga resta nel limbo a Bruxelles. La consapevolezza che la quarta rata, 16 miliardi, avrà esistenza altrettanto travagliata perché gli obiettivi non saranno raggiunti in tempo, certamente non tutti. Il lavoro in corso per riscrivere, entro il 31 agosto, il Piano esattamente nella misura descritta dal ministro sia pur pudicamente definita «rimodulazione a 360 gradi». Soprattutto le idee che hanno libero corso nel quartier generale del Recovery. Una, già nota, passa per la creazione di un sistema di vasi comunicanti tra Pnrr, Fondo di coesione, RePowerEu e Fondi di coesione e sviluppo in modo da aggirare la data di scadenza del giugno 2026, che nelle condizioni date è un capestro. L’altra, più recente e drastica, prevede il definanziamento di una serie di progetti, sacrificando buona parte degli obiettivi centrati sulle infrastrutture, per spostare i fondi sugli incentivi alle imprese. Sarà una beffarda coincidenza ma è un quadro che combacia perfettamente con quanto il ministro giura di non aver mai detto.

L’OPPOSIZIONE si scatena, bersaglia Fitto e il governo, reclama un chiarimento definitivo e trasparente in aula. «È una resa rivendicata» infierisce per il Pd Amendola e anche i capigruppo, Braga e Boccia, si lanciano contro le «parole di resa gravi e inaccettabili». Accuse in parte giustificate, dal momento che il governo pur in questi pochi mesi non è sembrato in grado di fronteggiare un compito effettivamente immane. Ma strali in buona parte ipocriti: tutti sapevano dall’inizio che il Piano era stato buttato giù in fretta e furia dal precedente governo e i ritardi avevano iniziato ad accumularsi inesorabilmente già quando regnava l’indiscutibile Draghi.

A SORPRESA AZZANNA anche Salvini: «Per me l’obiettivo è spende«re bene tutti i fondi. Non sono in agenda né la restituzione di fondi né la mancata spesa e se qualche ministro non riesce a spendere i suoi soldi li dia a me». Eppure proprio dalla Lega, e poi dal ministro di Fdi Crosetto, erano partite le prime bordate sull’opportunità di rinunciare a parte di quei 123 miliardi a debito che solo l’Italia, per scelta di Draghi, ha deciso di prendere tra i grandi Paesi europei e solo l’Italia, tra i pochi che hanno chiesto accesso alla quota di debito, ha deciso di prendere per intero e non in piccola parte. Ma si sa, la campagna elettorale per i ballottaggi ha le sue esigenze e Salvini è sempre Salvini.

BRUXELLES RESTA coerente con la scelta di usare le maniere morbide con l’Italia in buona parte grazie allo schieramento bellicoso della premier sul fronte ucraino. Commenti felpati, dunque. La «richiesta formale» di revisione del Piano non è ancora arrivata, fa notare von der Leyen. Comunque l’eventuale revisione «non deve abbassare l’ambizione complessiva». Una di quelle frasi che possono voler dire tutto o niente.

Nessuna possibilità, invece, di adoperare il Pnrr per fronteggiare l’emergenza in Emilia-Romagna: «Mi pare molto difficile», taglia corto Tajani. Sulle munizioni per l’Ucraina quei fondi possono, anzi debbono, essere dirottati. Per le popolazioni rimaste senza casa e lavoro no. Così vanno le cose.