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Per costruire opposizione serve uguaglianza tra nord e sud

Per costruire opposizione serve uguaglianza tra nord e sud

Commenti Delle 169mila persone che si sono viste privare del reddito con un sms, 21.500 risiedono a Napoli. Campania e Sicilia sommano insieme oltre 70mila nuclei familiari a cui si è sottratta da un giorno all’altro ogni supporto, in attesa di fantomatici percorsi formativi

Pubblicato circa un anno faEdizione del 29 agosto 2023

L’Europa delle piccole patrie prefigurata dalle destre somiglia terribilmente a quella che nel secolo scorso vide culminare la sua parabola nella carneficina delle due guerre mondiali. Il paradigma dei nazionalismi contrapposti non può avere altro esito che il conflitto, anche e soprattutto quando questi nazionalismi si somigliano nella stessa matrice ideologica escludente. Possiamo e dobbiamo impedire che questo incubo diventi realtà, e perciò accolgo con favore l’appello che Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni hanno rivolto ai movimenti per un percorso costituente in vista delle elezioni europee del prossimo anno.

L’uguaglianza è uno dei temi forti dell’appello. Letta da sud e da capogruppo di Napoli Solidale al consiglio comunale della mia città, mi sembra la parola giusta per inquadrare correttamente lo spazio di una nuova questione meridionale che sia al contempo una riflessione più generale sul paese nel suo complesso e sulle sue relazioni nello spazio comune europeo. Il problema del sud è infatti esattamente un problema di uguaglianza. Mai raggiunta nella storia d’Italia, ma che questo governo rischia di affossare perfino come ambizione.

L’esecutivo Meloni fa della disuguaglianza programmatica una solida bussola per la sua navigazione. La stella polare di un modello di sviluppo in cui la ricchezza può e deve essere prodotta esclusivamente esercitando un’asfissiante compressione alla base della piramide sociale. Taglio feroce nelle forme e nella sostanza del reddito di cittadinanza, opposizione al salario minimo, autonomia differenziata. Tutte questioni di rilievo nazionale, che però impattano i territori in misura inversamente proporzionale alla distribuzione della ricchezza. Di conseguenza, una pietra tombale su quella parte del paese dove la povertà trova la sua più grande concentrazione. 

Un dato su tutti spiega con la brutalità dei numeri le dimensioni del fenomeno. Delle 169mila persone che si sono viste privare del reddito con un sms, 21.500 risiedono a Napoli. Campania e Sicilia sommano insieme oltre 70mila nuclei familiari a cui si è sottratta da un giorno all’altro ogni supporto, in attesa di fantomatici percorsi formativi. Senza dimenticare città come Torino e Milano, la geografia della disuguaglianza disegna mappe non suscettibili di interpretazione. Sono quegli squilibri territoriali che il Pnrr si riprometteva di sanare o almeno di mitigare e che invece vedono nelle recenti decisioni del ministro Fitto una bruciante inversione di tendenza, con tagli che riguardano proprio progetti di rigenerazione urbana di aree come Scampia e la periferia orientale di Napoli.

L’Italia, come è accaduto spesso nel corso della sua storia, è un laboratorio politico. Nell’impetuoso vento di destra alimentato da quasi mezzo secolo di neoliberismo e di conseguente egemonia culturale, il governo Meloni sta palesando ogni intenzione di mettersi alla testa di un’Europa che alimenta le disuguaglianze, cancella ciò che resta del welfare, favorisce la concentrazione della ricchezza, nega il cambiamento climatico. Possiamo sconfiggere questa idea di Europa solo se ritroviamo protagonismo sociale, se riusciamo a rimettere in circolo le energie di chi ha smesso anche di esercitare il proprio diritto al voto perché la politica non appare più uno strumento in grado di cambiare la qualità della vita dei ceti meno abbienti.

Perché ciò avvenga bisogna tornare a parlare il linguaggio della chiarezza. Veniamo da decenni di pacificazione ideologica che hanno imposto l’idea di una politica buona per tutti, in cui si dismetteva la relazione fra ceti sociali e rappresentanza, riducendo tutto alla buona o alla cattiva amministrazione. In realtà, mentre si affermava questa riformulazione al ribasso della politica come amministrazione di condominio, si determinava un’operazione di ingegneria sociale che mutava profondamente i rapporti di forza all’interno della società a svantaggio dei più deboli. 

Al governo Meloni possono essere imputate tante cose, ma non la mancanza di chiarezza. Perché forse per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana un esecutivo palesa così esplicitamente da quale parte sta: con le multinazionali, con gli evasori contro il «pizzo di Stato», con imprenditori senza scrupoli che costruiscono fortune su paghe da 3 euro l’ora, con gli inquinatori con la giustificazione pelosa che i costi della transizione ecologica ricadrebbero sui più poveri, su chi si è appropriato da anni delle spiagge italiane in cambio di canoni fuori da ogni logica del mercato di cui pur si dichiarano alfieri. Una lista che potrebbe continuare ben oltre lo spazio di questo articolo.

Per costruire opposizione e saldarla a quella che in altre parti d’Europa si manifesta con un’intensità variabile, bisogna innanzitutto partire da un’idea di base senza compromessi: la transizione ecologica oltre a ripensare la relazione con l’ambiente deve essere animata dalla volontà politica di ripensare la nostra organizzazione sociale. Clima, democrazia e uguaglianza per un’Europa federale, come l’appello elenca correttamente. Un percorso che non può non guardare a quelle forme di estensione del servizio pubblico rappresentate dal Terzo settore, che hanno costituito in questi anni una risposta concreta alla dissoluzione del welfare.

 

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