Economia

Non garantiti gli asili nido al Sud nonostante il Pnrr

Un asilo nido foto ApUn asilo nido – Ap

Il caso Il governo ammette nel piano strutturale di bilancio. La protesta delle opposizioni e dei sindacati. E l’Istat certifica un nuovo record di denatalità

Pubblicato 4 giorni faEdizione del 22 ottobre 2024

Il governo ammette che non riuscirà a garantire i Livelli essenziali di prestazione (Lep) sugli asili nido al Sud. Lo scrive nel «Piano Strutturale di Bilancio 2025-2029» inviato a Bruxelles in vista della manovra come prevede il patto europeo di stabilità. I Livelli essenziali da assicurare su tutto il territorio nazionale sono stati istituiti nel 2022 e prevedono che in ogni Regione la disponibilità di posti negli asili nido copra il 33% della popolazione dei bambini sotto i 3 anni. La soglia attualmente è raggiunta solo nelle regioni del centro-nord (37%), mentre quelle del Sud e Isole sono sotto il 18%.

Nel Piano strutturale il governo prevede il raggiungimento dell’«obiettivo del 33 per cento di copertura del servizio su tutto il territorio nazionale». Ma ammette che il divario nord-sud rimarrà anche dopo il 2026, quando i fondi Pnrr saranno esauriti. Il dato è contenuto nelle proiezioni di pagina 131 in cui il Ministero dell’Economia descrive l’impatto del Recovery plan. Sicilia e Campania rimarranno molto al di sotto dei Lep: nessuna delle province dell’isola raggiungerà il target e in Campania ci riuscirà solo Benevento. A Palermo e Napoli, le aree più popolose, la copertura non raggiungerà il 20%. Nemmeno a Reggio e Crotone in Calabria, Taranto, Foggia e Barletta-Andria-Trani in Puglia, Oristano in Sardegna i Lep saranno garantiti nonostante i fondi europei.

“Se a ciò si aggiunge che nel 2030 l’obiettivo UE della presenza di servizi per la prima infanzia è il 45%, i nuovi indicatori proposti dal Governo certificano la mancanza di volontà di raggiungere tali obiettivi. Il rischio è, ancora una volta, il definanziamento dei Servizi Educativi. Per questa ragione – ha sostenuto la Funzione Pubblica della Cgil – è sempre più urgente dare corso ad un piano straordinario di assunzioni che garantisca in tutti i territori di raggiungere il 45% di copertura dei servizi all’infanzia al 2030. Non saremmo un paese giusto nel dichiarare che ci accontentiamo che in Italia 1 bambino su 3 abbia garantiti i servizi all’infanzia e che in alcune regioni ci fermiamo a poco più che 1 su 10”.

Pur di non ammettere il fallimento il governo ritocca gli obiettivi, come se i Lep non fossero già legge dello Stato. A pagina 8 di un’appendice al Piano inviato a Bruxelles si legge infatti che «l’obiettivo da raggiungere è che le strutture per l’infanzia abbiano una disponibilità di posti, pari ad almeno il 15% del numero dei bambini sotto i 3 anni, a livello regionale», meno della metà della soglia nazionale e dei livelli essenziali. Si certifica così che il riequilibro dei servizi tra nord e sud non rientra nelle ambizioni del governo Meloni.

Non è un fallimento imprevisto: negli anni passati, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio e lo Svimez avevano già avvertito che il Pnrr non sarebbe bastato a colmare il gap. Il governo post-fascista però ci ha messo del suo: la rimodulazione del Pnrr chiesta dal ministro Fitto ha tagliato da 260 mila a 151 mila i nuovi posti nei nidi da finanziare con il Pnrr. «Il governo fa cassa sui bambini del mezzogiorno» protestano le senatrici Pd Susanna Camusso e Simona Malpezzi. «Nel 2027 sarebbe dovuto arrivare un miliardo agli enti locali per attivare i servizi. Ma quelle risorse saranno tagliate, smantellando l’unico Lep che grazie al governo Draghi era stato definito e finanziato e adesso sarà molto più facile approvare nuovi livelli essenziali delle prestazioni meno ambiziosi e sottofinanziati».

Malgrado tutta la retorica governativa su famiglia e natalità, la storica assenza di un welfare adeguato ai bisogni attuali scoraggia gli italiani dal fare figli. Proprio ieri l’Istat ha pubblicato i dati aggiornati sulla natalità: con meno di 380 mila nuovi nati il 2023 ha segnato un nuovo record negativo. Sono 13 mila (-3,4%) in meno rispetto al 2022. Il calo si spiega con la minore fecondità (1,20 figli per donna, era 1,24 nel 2022) ma anche con la strutturale diminuzione del numero di donne in età fertile. E infatti nei primi 7 mesi del 2024 il numero assoluto di nascite scende ulteriormente del 2,1% rispetto allo stesso periodo del 2023, nonostante un leggerissimo aumento nella fecondità, risalita a 1,21 figli per donna.

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