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Debito pubblico e immobilismo sovranista

Nuova finanza pubblica La rubrica settimanale a cura di Nuova finanza pubblica
Pubblicato 2 giorni faEdizione del 26 ottobre 2024

Il debito pubblico globale sta crescendo. In paesi che crescono poco e continuano a indebitarsi, come avviene in Europa, oppure in quelli che crescono di più, ma favoriti anche da un deciso indebitamento, come gli Stati uniti.

Il Fondo monetario internazionale annuncia che nel 2024 complessivamente supererà i 100mila miliardi di dollari, pari al 93% del Pil globale. Nel caso italiano la stagnazione favorisce una ripartenza del debito.

L’attuale discussione sulla finanziaria è segnata dai confini imposti da una certa dose di austerità, ritornata in auge grazie al nuovo Patto di stabilità.

L’elemento centrale che costringe in questo campo di gioco angusto è un debito pubblico tra i più elevati al mondo sia in termini assoluti sia relativi al Pil. Il governo attuale, per la verità come tanti di quelli che lo hanno preceduto, non sembra avere soluzioni. Come tanti predecessori (salvo i governi di salute pubblica che hanno assunto politiche lacrime e sangue) l’intento sembra semplicemente quello di prendere tempo e di traccheggiare, alla ricerca di scelte indolori fondate su un’apparente riduzione del danno, non certo attraverso leggi di bilancio espansive.

Va ammesso che nessun paese a noi paragonabile ha soluzioni a tale dilemma. Come va ammesso che il problema è complesso.

Meloni si auto assolve affermando che «questo è il massimo possibile» alle condizioni date. Ma di quello che è il macigno soprastante nulla si dice, come nulla si dice su come alleggerirne il peso. Eppure il peso aumenta. Per non dire del mancato rilancio di un’iniziativa pubblica in investimenti e servizi che contribuisce a deprime il panorama.

Non a caso diverse istituzioni nazionali e internazionali stanno rivendendo al ribasso il Pil italiano per quest’anno. Se il denominatore del rapporto debito/Pil diminuisce il rapporto va aumentando. Il Fondo monetario internazionale annuncia così un aumento del debito italiano dal 134,6% del Pil nel 2023 al 136,9% nel 2024 per poi prevedere un aumento al 138,7% nel 2025.

La spinta alla riduzione di tale rapporto, frutto della fiammata inflazionistica e del rimbalzo post Covid, si è già esaurita. Dopo un biennio in cui il rapporto era sceso di oltre 20 punti percentuale, ora torna a crescere.

La strategia nazionale di rendere allettante per i cittadini l’acquisto dei titoli pubblici con rendimenti piuttosto elevati non sta dando i risultati sperati. Dopo la crisi del 2008 i detentori esteri sono scesi sotto la quota del 50% e da lì non si sono allontanati granché. Semmai sono stati sostituiti prima dalle banche italiane e poi dalle istituzioni monetarie.

I singoli cittadini e le famiglie, infine, sono aumentati di qualche punto percentuale superando il 13% del totale dei titoli, un risultato positivo raggiunto grazie all’appetibilità conseguita in questi ultimi anni di tassi d’interesse straordinariamente elevati. Un modo per contrastare l’inflazione, finendo, però, per far crescere il costo dell’indebitamento.

Complessivamente, però, nulla che modifichi sostanzialmente il quadro. L’esposizione resta, e un vasto programma di investitori «patriottici» non è decollato. In tempi di perdurante finanziarizzazione globale e di squilibri socio-economici tale programma non decollerà.

Se passiamo sul versante delle entrate, poi, non c’è alcun progetto di riequilibrio. Nessun progetto di far contribuire per via fiscale al risanamento delle casse pubbliche i soggetti che in questi anni si sono arricchiti maggiormente.

Eppure esistono e non sono solo le banche.

Ogni progetto di patrimoniale e di riequilibrio di redditi e patrimoni viene perentoriamente escluso con toni persino isterici. Il debito sale, l’austerità ritorna, e a pagare il conto restano i soggetti con redditi fissi, il lavoro dipendente, i pensionati, cioè tutti quei soggetti a cui facilmente è possibile acchiappare risorse e rimandare semplicemente i problemi. La rivoluzione sovranista sembra tanto sinonimo di continuità.

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