Economia

Niente debiti, siam tedeschi

Niente debiti, siam tedeschiJacob Fugger che dà fuoco ai certificati di debito di Carlo V nel dipinto di Karl Becker del 1866

Viaggio Nella Globalizzazione Quarta puntata. Nei rapporti fra Germania e Italia dal XIII secolo al Novecento ritroviamo tanti elementi attuali. Dal Fondaco di Venezia alla fondazione della Banca Commerciale Berlino ci ha (quasi) sempre insegnato come fare soldi veri

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 1 settembre 2018

Al processo di globalizzazione che abbiamo descritto nell’articolo precedente, l’Italia e la Germania partecipano con ruoli certo significativi, ma non sempre di primissimo piano. Questo anche perché essi non costituiscono ancora degli Stati unitari e non hanno la forza di questi ultimi; per l’Italia poi, con l’apertura dei traffici atlantici, viene meno la centralità del Mediterraneo.

PUÒ ESSERE INTERESSANTE analizzare alcuni aspetti dei rapporti economici e finanziari tra i due paesi europei tra il Quattrocento e la fine dell’Ottocento, anche nel più vasto campo di battaglia europeo e, sia pure indirettamente, anche mondiale.

Questo ci permette di vedere da una parte come i rapporti di forza tra paesi possono cambiare anche fortemente nel tempo, dall’altra di comprendere almeno alcune delle radici storiche della rigidità tedesca nello gestire ancora oggi le tematiche finanziarie.

Ricordiamo così come, sino a pochissimi anni fa, fosse difficile utilizzare le carte di credito a Berlino, come poi la parola schulde significhi insieme debito e peccato, come ancora, nell’imposizione da parte della Germania, tramite Bruxelles, delle politiche di austerità ai paesi del Sud-Europa, ci fosse una specie di volontà di punizione per essersi essi troppo indebitati e come e perché siano infine sin troppo celebrate nel paese teutonico le virtù del risparmio.
Noi abbiamo in generale una idea molto vaga dei rapporti economici dell’Italia con la Germania nei tempi andati; forse l’unica informazione presente a qualcuno è quella che a Venezia c’era, e c’è ancora, un cosiddetto Fondaco dei Tedeschi.

Tale edificio, la cui prima fondazione risale al XIII secolo, è stato un importante punto di approdo, di incontri e di scambi dei mercanti tedeschi e più in generale di quelli dell’Impero con i Veneziani. Esso testimonia della centralità della città nei traffici con l’Europa del Nord; i mercanti stranieri apportavano in particolare le loro merci e acquistavano quelle dei veneziani e quelle provenienti dall’Oriente.

Qui, tra l’altro, il giovane Jacob Fugger soggiornò apprendendo le arti contabili e quelle finanziarie.

L’ITALIA ERA ALLORA la culla della finanza e del diritto, ma, come ha poi osservato qualcuno, si vede che i due soggetti sono stati tanto a lungo nella culla che si sono addormentati.

L’Hansa è all’origine un raggruppamento dei commercianti della Germania del Nord, che si estende poi sino a comprendere città non solo tedesche, ma quelle riveranee (ed anche molte dell’interno) tra il mare del Nord e il Mar Baltico, sino al golfo di Finlandia. Essa si forma essenzialmente intorno all’obiettivo di proteggere i suoi mercanti all’estero e di sviluppare il loro commercio, con rapporti sino all’Oriente, oltre che con la Germania del Sud e l’Italia.
Le Lega si indebolirà fortemente, come le città italiane, a partire dalla scoperta dell’America, ma anche a causa della crescita di diverse realtà rivali e verrà formalmente sciolta nel 1669.

Di fronte all’aumento nel tempo del pericolo rappresentato dall’arrivo dei rivali, vengono poste delle limitazioni alla loro attività. Con gli italiani il trattamento fu particolare. Ad un certo punto i mercanti della penisola volevano fare concorrenza a quelli dell’Hansa offrendosi di fare credito ai clienti (i mercanti dell’Hansa vendevano solo in contanti), ma tale tecnica fu totalmente proibita.

Successivamente, riconoscendo la loro superiorità commerciale e finanziaria (quanto distanti quei tempi!), la dieta di Lunenburg nel 1412 arrivò a proibire loro ogni attività.
Viene forse già da qui la riluttanza all’indebitamento presente nel mondo tedesco.

UN GRANDE STORICO dell’Ottocento ha definito il Cinquecento come il secolo dei Fugger; la definizione è un po’ esagerata, perché i banchieri tedeschi dominarono la scena di quel secolo per poco più di cinquanta anni; però la frase appare utile per sottolineare il loro grande peso nella finanza e nella politica del secolo.

Jacob Fugger, il più importante della stirpe, approfittando del fatto che il fratello era diventato un uomo di Curia, cominciò ad occuparsi dei movimenti di fondi della Chiesa tra Roma e la Germania, inserendosi in particolare nello scandaloso sistema delle indulgenze. Ottenne poi la gestione della zecca papale. Un prestito al conte Sigsmondo di Asburgo varrà il controllo della moneta del Tirolo e poi quella della produzione d’argento nei possedimenti austriaci. Si lega all’imperatore Massimiliano cui presta somme enormi.

Il suo ruolo sarà fondamentale quando il futuro Carlo V dovrà battere la concorrenza di un rivale, Francesco I di Francia, per accedere al trono degli Asburgo. In cambio dei prestiti necessari a comprare la carica (ma una parte molto consistente del denaro lo prende a prestito dai genovesi) egli otterrà tra l’altro il monopolio dei cambi nella città di Anversa.

DOPO AVER SPREMUTO i Fugger, gli Asburgo però li abbandonano e si rivolgono ormai ai genovesi. I tedeschi si stancano ad un certo punto dell’atteggiamento dei re spagnoli, ma anche della forza e della capacità dei banchieri della città ligure.

Essi si lamentavano: «Noi lavoriamo con la moneta buona, quelli lavorano con la carta», alludendo alle acrobatiche manovre e speculazioni finanziarie cui, senza attendere i maghi di Wall Street, i genovesi si davano allegramente e che i tedeschi non avevano la capacità o la voglia di imitare.

La poca simpatia dei tedeschi per la finanza viene già da qui. Per altro verso, il caso mostra come i rapporti tra finanza e potere siano normalmente molto stretti.

È noto come la Germania sia il paese dove sono nate e si sono di più sviluppate nell’Ottocento le forme solidaristiche di attività bancaria, dalle casse di risparmio alle banche di credito cooperativo, a quelle popolari. Ma accanto alla volontà di aiutare i piccoli agricoltori e artigiani, l’obiettivo fondamentale degli ambienti conservatori è anche quello di allontanare le classi lavoratrici dalle organizzazioni sindacali e dal socialismo montanti. Il risparmio appare ancora una volta come un’arma politica.

LE NUOVE FORME BANCARIE arriveranno quasi pari pari anche in Italia, ma, per la verità, con minore carica ideologica anti-socialista che nel modello originale.

Dopo l’unità d’Italia il sistema bancario nazionale è in pezzi; con il tempo interverranno notevoli capitali esteri nel settore. È grande merito di quelli tedeschi, ma anche austriaci e svizzeri, di contribuire in maniera decisiva a fondare la Banca Commerciale italiana e a svilupparla su solide basi con dirigenti tedeschi.

Essa diventerà la più avanzata del nostro paese, contribuendo, tra l’altro, non poco, a finanziare la nascente industria nazionale; ma arriverà poi il fascismo e pretenderà che i quadri bancari fossero tutti di nazionalità italiana; avremo così, anche per questo, la debacle del sistema nei primi anni Trenta. Ma qualcosa rimane nel dna della banca, che ancora oggi, unitasi poi a Intesa San Paolo, può essere probabilmente considerata quella gestita meglio tra gli istituti italiani.

(4a puntata – fine)

Tutte le puntate

  1. I paradisi fiscali degli assiri
  2. E poi arrivarono i popoli del mare
  3. Asia export: tutte le vie delle sete portano a Trump
  4. Niente debiti, siam tedeschi

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