Asia export: tutte le vie delle sete portano a Trump
Viaggio nella globalizzazione L’egemonia produttiva di Paesi come la Cina o l’India viene da lontano, dagli antichi e criminali traffici commerciali tra Oriente e Occidente. Fin dai tempi remoti, i paesi asiatici sono i principali produttori di merci del mondo. Solo per due o tre secoli la situazione si è ribaltata. Fino al recente boom.
Viaggio nella globalizzazione L’egemonia produttiva di Paesi come la Cina o l’India viene da lontano, dagli antichi e criminali traffici commerciali tra Oriente e Occidente. Fin dai tempi remoti, i paesi asiatici sono i principali produttori di merci del mondo. Solo per due o tre secoli la situazione si è ribaltata. Fino al recente boom.
Con questo terzo articolo facciamo un salto in avanti di almeno venticinque secoli rispetto agli altri due già pubblicati (anche se non mancherà nel testo un qualche riferimento ai tempi antichi) e ci immergiamo in un’altra ondata di globalizzazione, quella successiva alla conquista europea dell’America a partire dal 1492.
L’ORO E L’ARGENTO
Quando la Spagna e il Portogallo conquistano l’America Latina, la prima cosa a cui pensano è di farne oggetto di rapina. Così essi cercano dovunque l’oro, l’argento e le pietre preziose posseduti dagli indigeni, e questo con tutti i mezzi, compresi assassinii e torture. Restò famoso, per le sue dimensioni, il ritrovamento del tesoro di Atahualpa, l’ultimo sovrano dell’impero Inca, poi messo a morte; si trattava di circa 12 tonnellate d’argento e di 5,6 tonnellate d’oro.
Esaurita questa prima fase, da una parte viene avviato lo sfruttamento delle miniere di oro ed argento locali, dall’altra si da inizio alla grande ondata delle piantagioni schiavistiche per la produzione di zucchero e altre derrate.
Il decollo delle attività minerarie avviene con la scoperta dei depositi d’argento messicani e peruviani, tra il 1545 e il 1550 e poi anche di quelli del mercurio, materiale necessario per la lavorazione del metallo. Più tardi, verso la fine del Seicento, si registrerà quella dell’oro in Brasile.
Le condizioni di lavoro nelle miniere per gli indigeni sono spaventose. Gas, frane, incendi, eccessive fatiche, avvelenamento da mercurio, insufficienza nell’alimentazione ed in alcuni casi, con delle miniere situate a più di 4000 metri, rarefazione dell’aria, mancanza di aerazione nei cunicoli, temperature estreme, comportano delle vere stragi di indiani.
Una gran parte dei metalli preziosi prenderanno poi la via dell’Europa; in Spagna, in particolare essi daranno luogo allo sviluppo di consumi ostentatori, mentre non contribuiranno in alcun modo a far crescere l’economia, anzi tenderanno a fiaccarla, secondo un andamento che del resto si ripeterà nei tempi moderni nei paesi petroliferi. Le ricchezze scavate serviranno anche a finanziare la guerra contro le Fiandre, che si ribellavano al dominio spagnolo. Anche Genova troverà il suo tornaconto in tali movimenti. Ma poi, come vedremo, i metalli preziosi prenderanno un’altra strada.
LO ZUCCHERO
Nelle Americhe si sviluppa anche, da un certo momento in poi, un sistema di piantagioni a base schiavistica. Quantunque i prodotti interessati fossero diversi, dal cotone al tabacco, il più importante fu lo zucchero.
In pratica per sviluppare l’attività tutto arrivava dall’estero. I coloni, ma anche i soldi, i macchinari e le piante dall’Europa, gli schiavi dall’Africa, i viveri sempre dall’Europa e dall’America settentrionale, i prodotti tessili, per vestire gli schiavi ed anche i padroni, dall’Asia, infine sempre dall’Asia, ma anche dall’Europa, le merci di poco prezzo utilizzate per comprare i neri in Africa.
Secondo alcune valutazioni (ce ne sono di diverse) il numero degli schiavi che raggiunse l’America tra il secolo XVI e il XIX fu all’incirca di 10 milioni. Se si considerano anche le perdite verificatesi durante il viaggio, si arriva agli 11-11,5 milioni di neri catturati in Africa. Nei momenti di maggiore splendore, il business vedeva il trasporto in America di circa 90.000 africani all’anno da parte delle principali potenze marittime europee.
Il sistema era dunque già allora organizzato su base mondiale e governato in sostanza da pochi.
Tutto questo apparato criminale è stato a suo tempo messo in piedi sostanzialmente per produrre alla fine circa 500.000 tonnellate di zucchero all’anno al massimo per qualche decina di migliaia di ricchi europei. E pensare che nella stagione 2017-2018 ne sono state prodotte nel mondo, con poco sforzo, circa 185 milioni di tonnellate.
I RAPPORTI CON L’ASIA
Sono almeno tre le principali rotte dei traffici tra Oriente e Occidente, le cosiddette «vie della seta». La prima è quella terrestre del Nord, che passa attraverso l’impero mongolo; la seconda, la via di mezzo, che parte dalle coste di Siria-Palestina, passa da Baghdad e poi si divide in una strada marittima ed una terrestre; infine la strada meridionale, che lega le coste mediterranee egiziane con il mare Arabico e poi l’Oceano Indiano. Il più importante approdo finale in Europa delle merci è poi l’Italia.
Nel nostro continente arrivano prodotti di seta e porcellana cinesi, arazzi e tappeti persiani, manufatti di cotone dell’India, pietre preziose, avorio, gioielli ancora dall’India, da Burma e da Ceylon, poi spezie, droghe, medicine…
Ma l’Asia non gradisce molto i prodotti europei e così la gran parte delle merci importate nel nostro continente sono regolate con l’invio in Asia di metalli preziosi via Europa o attraverso il Galeone di Manila, che partiva periodicamente dalle coste dell’America Latina. Una fetta molto consistente delle scarse riserve metalliche europee, estratte con una lunga sequenza di stragi in America, finisce così in Cina ed India. Come ha scritto Fernand Braudel, la Cina e l’India diventano le necropoli dei metalli preziosi in circolazione nel mondo.
Ma già nell’antica Roma i senatori esibivano le loro costosissime toghe di seta, mentre le loro donne vestivano abiti trasparenti fatti con lo stesso materiale, tra le riprovazioni dei moralisti dell’epoca. Del resto che ci fossero dei rapporti dei romani con i cinesi è testimoniato ancora oggi da tracce presenti negli archivi del Paese asiatico. Anche allora essi, per ripagare i loro acquisti, dovevano inviare in Oriente una parte delle loro riserve d’oro.
L’EGEMONIA DELL’ASIA
Sin dai tempi remoti, l’Asia si rivela così come il principale produttore di merci del mondo e con una bilancia commerciale in largo attivo con l’Occidente. Sarà soltanto il declino, oggi sappiamo temporaneo, e poi la crisi delle due grandi civiltà, cinese ed indiana, sotto la spinta anche della rivoluzione industriale inglese e del colonialismo (gli inglesi, ad esempio, distruggeranno l’industria tessile indiana, dopo che gli europei avevano elevato misure protezionistiche sui prodotti del Paese asiatico; Trump non c’era ancora), a cambiare per due-tre secoli questo stato di cose.
Il recente e forte sviluppo delle produzioni ed esportazioni asiatiche non fa quindi che ripristinare una situazione di lungo periodo. Si potrebbe quasi parlare di un ordine naturale delle cose, se si potesse usare tale espressione per i fenomeni sociali.
Donald Trump si lamenta che gli Stati Uniti importano merci dalla Cina per 550 miliardi di dollari e riescono ad esportarne verso lo stesso Paese soltanto per 130 miliardi. Ma è chiaro che non si tratta di una novità. Riuscirà il presidente Usa a rovesciare la storia?
Ma le vicende dell’oro e dell’argento presentano ancora altri sviluppi: nell’Ottocento le potenze coloniali europee, con in testa la Gran Bretagna, si scagliano contro la Cina e riescono tra l’altro ad imporle con la forza (con la sottoscrizione degli “iniqui trattati”, come sono oggi conosciuti in Cina) l’acquisto di grandi quantità di oppio che i cinesi pagheranno con l’argento che una volta era arrivato dall’Occidente.
(3a puntata di 4-segue)
le precendenti puntate sono state pubblicate l’1 e l’11 agosto
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