Visioni

Nella storia della Guinea-Bissau un insopprimibile desiderio di libertà

Nella storia della Guinea-Bissau un insopprimibile desiderio di libertàScena da «Nome» di Sana Na N’hada

Cannes 76 «Nome» di Sana Na N’hada, presentato a Acid. Tra ricordo, sogno, fantasia con immagini d’archivio della guerra d’indipendenza

Pubblicato più di un anno faEdizione del 20 maggio 2023

Cosa c’è dietro a una rivoluzione? Cosa anima le persone a prendervi parte, cosa attraversa i loro corpi e i loro sguardi? È questo che si chiede Nome, il film di Sana Na N’Hada presentato ad Acid, la sezione del «cinema indipendente» a Cannes. Fondata nel 1992 da un gruppo di registi con lo scopo di promuovere la distribuzione dei film, a fronte di una visibilità spesso compromessa dalle programmazioni concentrate su pochi titoli mainstream, Acid sostiene ogni anno una ventina di film di cui alcuni vengono selezionati per essere mostrati sulla Croisette (o poco lontano). Tra i 9 titoli di quest’anno, 5 film di finzione e 4 documentari, Nome viene incluso nella prima categoria ma è in realtà un lavoro «anfibio»: è dalla realtà che proviene e quel legame non si spezza, al massimo muta forma e contesto.

Sana Na N’Hada viene considerato il primo regista della Guinea-Bissau. La sua formazione ha una storia particolarissima: fu Amilcar Cabral, fondatore del Partito Africano per l’Indipendenza della Guinea e di Capo Verde, a spedire il giovane regista insieme ad altri tre colleghi a Cuba per imparare a filmare. Lo scopo, prettamente politico: bisognava riprendere il conflitto che per oltre dieci anni, dal ’63 al ’74, contrappose i guerriglieri locali ai colonialisti portoghesi. Le immagini avrebbero forse convinto l’opinione pubblica a prendere parte per la sollevazione.

SANA NA N’HADA torna oggi, circa 55 anni più tardi, a quella guerra che ha conosciuto da vicino. Protagonista del film è Nome, un giovane che decide di lasciare tutto, il villaggio, la famiglia e l’amore, per abbracciare la guerriglia. Perché lo fa? È la chiamata del suo «spirito» – talvolta rappresentato come un’ombra, un doppio che interviene nei momenti decisivi? È una delusione sentimentale, o un insopprimibile desiderio di libertà? Mentre si cerca un’impossibile risposta seguiamo Nome nella sua parabola, e la Guinea-Bissau ci appare bellissima, florida, quasi come un Eden grazie anche ad una fotografia dai toni chiari che ne esalta la luminosità.

Si potrebbe avere l’impressione di trovarsi in un territorio liminale tra ricordo, sogno, immaginazione del regista – una fantasia sul passato affidata alla macchina da presa.

E IN QUESTA direzione le immagini d’archivio – che appaiono più volte come degli intarsi – dove Sana Na N’Hada nel ’69 riprendeva le azioni di guerriglia, i volantini, i militanti a riposo, si integrano perfettamente. La storia ha preso poi strade tortuose, e all’indipendenza del Paese sembra essere seguita paradossalmente una perdita di identità, come esemplificato dal protagonista e dalle scelte musicali che accompagnano le immagini. Ma consegnare queste tracce oggi può forse indicare che alcune imprese, storiche e personali, assumono il loro senso solo molto tempo dopo, con un’elaborazione che non è più quella sfocata del coinvolgimento «a caldo».

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