È un dato da accogliere con giubilo, ma che deve far riflettere: alcuni Paesi del continente africano si affacciano in questi anni sul panorama cinematografico per la primissima volta nella loro storia. Giovani registi stanno facendo da apripista in territori dove le uniche telecamere in circolazione sono quelle dei media occidentali, spesso con l’aiuto di progetti virtuosi in parte finanziati e voluti da Paesi europei. In questo la Francia, per il legame (post-coloniale) che la lingua permette, è in prima linea: ad esempio, un grande lavoro fanno gli Ateliers Varan con il loro cinema «diretto», o il programma Generation Africa supportato da Arte, o festival come Cinéma du Réel che ha dedicato alle produzioni del continente ampio spazio. Questa «nuova onda» che interessa soprattutto, ma non solo, il cinema documentario, trova riscontro anche in quest’edizione di Cannes, dove film africani attraversano un po’ tutte le sezioni del festival.

Le gioie del concorso
La sorpresa più grande è l’inserimento nel concorso ufficiale del primo lungometraggio della regista e sceneggiatrice senegalese-francese Ramata-Toulaye Sy. Il suo Banel e Adama avrà quindi la possibilità di beneficiare della visibilità del palcoscenico più importante del festival. Il film è incentrato sulla coppia di due giovani follemente innamorati al punto da voler rompere le rigide regole del proprio villaggio nel nord del Senegal. Una scelta che porterà distruzione e caos nella comunità, dove non sembra esserci spazio per passioni incontrollate. Sempre in concorso troviamo Les filles d’Olfa (titolo internazionale Four Daughters) della regista tunisina Kaouther Ben Hania. Tre anni fa, il suo L’uomo che vendette la sua pelle è stato il primo lavoro dalla Tunisia ad essere candidato agli Oscar come miglior film internazionale. La nuova pellicola si muove al confine tra realtà e finzione inserendosi nella storia della vita di Olfa, donna tunisina madre di quattro figlie, di cui le due maggiori scompaiono all’improvviso. La regista ha quindi coinvolto attrici professioniste per sopperire a questa «assenza» e per entrare nell’intimità della vita della protagonista.

A proposito di territori dove il cinema è ancora un’attività pionieristica, è un’ottima notizia trovare nella sezione Un certain regard il primo film sudanese mai proiettato a Cannes. Si tratta di Goodbye Giulia di Mohamed Kordofani dove protagonista è Mona, una cantante in pensione del Nord Sudan che accoglie nella sua casa la vedova di un uomo di cui la stessa Mona ha insabbiato l’omicidio proveniente dal Sud Sudan, tematizzando così la separazione del Paese avvenuta in seguito al referendum del 2011. Sempre in Un certain regard c’è poi il primo film del regista e sceneggiatore marocchino Kamal Lazraq, il suo Les meutes racconta una lunga notte nei bassifondi di Casablanca. Ancora dal Marocco il film della regista classe 1990 Asmae El Moudir. È lei stessa la protagonista di Kadib Abyad (La mère de tous les mensognes), in cui oscillando tra la storia della sua famiglia e quella del Paese, con un riferimento particolare alle «rivolte del pane» del 1981, cerca di scoprire alcune verità nel tessuto di menzogne in cui sente di essere cresciuta.

Parallelamente
Altri titoli sono poi disseminati nelle sezioni parallele, di cui due interessanti in Acid (la piattaforma dei cineasti indipendenti). Nome, di Sana Na N’Hada – regista dalla lunga carriera, considerato il «primo» proveniente dalla Guinea-Bissau – ricostruisce la guerra che nel ’69 ha contrapposto l’esercito colonialista portoghese ai guerriglieri del Partito Africano per l’Indipendenza di Guinea e Capo Verde. Questo re-enactment di finzione – dove al centro c’è il protagonista Nome, e la sua parabola da guerrigliero a eroe disilluso – ingloba al suo interno anche materiali originali girati dallo stesso Sana Na N’Hada all’epoca del conflitto. Machtat, della franco-tunisina Sonia Ben Slama, è invece un documentario su un gruppo di donne che esegue musiche tradizionali ai matrimoni e il loro confronto complesso col maschile.

Terminiamo la panoramica sulla vivace presenza del cinema africano sulla Croisette – lasciando fuori i diversi registi e registe di seconda generazione, così come alcuni film firmati da europei che pure parlano di Africa – con la Quinzaine, dove troviamo Mambar Pierrette della camerunese Rosine Mbakam, protagonista una sarta ritratta nella sua vita quotidiana a Douala. Sarà poi ancora protagonista il Marocco con Faouzi Bensaidi, già vincitore nel 2003 del Premio miglior opera prima di Un Certain Regard, il suo Déserts è una commedia/road movie con protagonisti due amici indebitati che partono per il nel Sud del Paese per riscuotere a loro volta gli interessi dei prestiti di «poveri bastardi travolti dalla miseria e dalla siccità del deserto».