Alcuni autorevoli sottoscrittori dell’Appello last minute per un accordo Pd-M5S alle elezioni nel Lazio, di fronte all’insuccesso dell’appello esprimono pubblicamente, anche su questo giornale, la tentazione di astenersi dal voto, attribuendo pari responsabilità ai due contendenti e considerando la partita persa comunque. La delusione e lo sconcerto sono più che comprensibili, ma la gravità della situazione esige un approfondimento dell’analisi degli avvenimenti accaduti e delle prospettive che abbiamo davanti, in Italia oltre che nel Lazio.

Le vicende del mancato accordo le ha qui descritte il 7 gennaio Stefano Fassina, che, come Fratoianni, ha cercato per mesi di renderlo possibile. Il fatto è che dietro l’indiscutibilità della candidatura di D’Amato – non a caso avanzata da Calenda – c’è il peso del sistema di potere della sanità nel Lazio, certo più efficiente di quello della Lombardia, ma anch’esso fondato sull’intreccio tra la burocrazia delle grandi Asl e i fortissimi interessi privati del settore. Così come dietro il megaincineritore di Santa Palomba c’è un Sindaco che si fa Commissario straordinario per poter superare il Piano regionale dei rifiuti e consentire agli apparati del Campidoglio di gestire insieme a grandi imprese private un affare da centinaia di milioni. Dimostrando che il Pd, anche nel Lazio, è soprattutto apparati di potere che distribuiscono appalti e concessioni riprendendo una non-politica del territorio fondata su cemento, automobile e “grandi opere”.

Anche per questo, nel Lazio tutti i sondaggi degli ultimi due anni hanno dato la destra vincente anche sulla coalizione Pd-M5S. Mentre in Lombardia, dove da decenni il Pd è fuori dal sistema di potere della Regione e della Sanità, riesce a prevalere l’originaria matrice progressista del partito, portando alla candidatura Maiorino e all’accordo con sinistra e M5S, con qualche chance di vittoria per la spaccatura della destra.

Invece nel Lazio, con la legge elettorale vigente, il massimo che si è riusciti a fare è una coalizione tra un Polo progressista, composto da forze di sinistra ed ecologiste, e il M5S. Con scarse chance di vittoria, ma la concreta possibilità di un risultato complessivo che veda il Presidente di destra privo della maggioranza in Consiglio regionale, come Zingaretti cinque anni fa. In tal caso, anche per le divisioni interne alla destra, si apriranno spazi di iniziativa e di manovra all’opposizione di sinistra su questioni importanti, a partire dall’autonomia differenziata.

Anche sul piano nazionale le prospettive sono abbastanza chiare. Un governo di destra a guida postfascista sta preparando una controriforma della Costituzione centrata sull’autoritarismo presidenzialista e sulla frantumazione dell’ordinamento giuridico ed economico-sociale indotta dall’autonomia differenziata, in parallelo ad un indirizzo neocorporativo che aumenta le disuguaglianze attaccando le condizioni di vita e di lavoro dei ceti popolari. Le elezioni del 25 settembre hanno dimostrato che il Pd del “ma anche” non convince l’elettorato perché sulle questioni fondamentali della guerra e dell’”agenda Draghi” in economia ha le stesse posizioni della destra, e su molte altre se ne discosta di poco. Perciò, anche un “campo” comunque allargato, se guidato da questo Pd o da uno simile, sulla linea del “ma anche” non ha alcuna possibilità di reggere un attacco che porta a compimento tendenze di lungo periodo, appoggiate dai grandi interessi privati e dai loro media.

L’alternativa è la costituzione di un fronte di difesa della Costituzione e di piena attuazione dei suoi principi, composto anche da forze del versante progressista del Pd, per come usciranno da questo Congresso. Per offrire rappresentanza agli ampi settori dell’elettorato popolare e di ceto medio che oggi si astengono dal voto, attraverso un programma radicalmente opposto a quello della destra, che ne sappia interpretare le esigenze ed i bisogni reali.

Per realizzare tale obiettivo occorre che questo fronte, il più ampio possibile, faccia perno su un polo progressista con le idee chiare e la capacità di comunicarle. E una buona affermazione del fronte progressista in Lombardia, nel Lazio e nel Friuli sarà un primo passo in questa direzione. In ogni caso, un fatto è certo: un elettore di sinistra che, nel Lazio o altrove, si astiene o vota liste sicuramente a perdere, è come se votasse a destra. Il punto centrale, qui ed ora, sta in questa considerazione oggettiva, che non può non prevalere sugli stati d’animo soggettivi, di delusione, sconcerto, rancore, per quanto comprensibili possano essere.