Politica

La sanità targata Tesei: definanziare il pubblico per fare posto al privato

Ospedale di PerugiaOspedale di Perugia – Ansa

Verso il voto Umbria, da settore modello alla crisi attuale: il 9,2% della popolazione rinuncia alle cure, la media italiana è del 7,6. Ma il declino era già iniziato durante il periodo renziano

Pubblicato circa un'ora faEdizione del 17 novembre 2024

Il diritto alla salute (negato) è stato il tema centrale della campagna elettorale di Stefania Proietti, messo in crisi nei cinque anni di governo della destra di Donatella Tesei. L’Umbria aveva un servizio sanitario tra i migliori in Italia, al quarto posto delle classifiche nazionali. Ora i dati della fondazione Gimbe mostrano altro: il 9,2% dei cittadini rinuncia a curarsi, contro la media nazionale del 7,6%. Per le liste d’attesa interminabili, la difficoltà a raggiungere i presidi sanitari distanti, data la carenza estrema di mezzi pubblici.

Dei servizi di vicinanza, come le case di comunità previste dal Pnrr, non si vede traccia rischiando così di fallire. Migliaia di cittadini umbri vanno a curarsi fuori regione. È il fallimento di Donatella Tesei, che ha definanziato il servizio pubblico puntando tutto sul privato. Non tutto, certo, è al tracollo, ci sono ancora eccellenze, come il reparto di Ematologia dell’ospedale di Perugia, avanguardia anche di ricerca per nuovi farmaci oncologici e nelle tecniche di trapianto di midollo osseo. Anche lì carenza di personale col sovraccarico di lavoro e rischio burn out di medici e infermieri. Come in altri reparti, in piedi grazie agli sforzi estremi del personale. Salute significa anche acqua pulita, pare scontato. Da tempo Arpa Umbria e Greenpeace hanno trovato livelli elevati dei famigerati Pfas principalmente nelle acque tra Terni e Narni, già oggetto di una campagna di Avs: «La giunta Tesei non ha fatto assolutamente nulla sul tema» accusa Gianfranco Mascia, candidato di Avs alle regionali. A sostegno dell’ex sindaca di Assisi anche la lista Umbria per la sanità pubblica.

Tra i settori più definanziati, e del tutto abbandonati, ci sono la salute mentale e i servizi psichiatrici territoriali. Infatti il Piano sanitario 2022-2026 della giunta Tesei non li cita neanche. Eppure Perugia era stata protagonista, con Trieste, della rivoluzione contro i manicomi per una psichiatria nuova, umanizzata e non repressiva.

Tra gli attori principali, fin dall’uscita dal manicomio di fine anni Sessanta, è stato Francesco Scotti, psichiatra, fondatore nel 1970 del primo centro di salute mentale (Cim) in Italia, di impostazione psicoterapica oltre che sociale. Lo incontriamo a casa sua, a Perugia. È autore di Nascita ed evoluzione di una psichiatria di comunità in Umbria in due volumi (Morlacchi editore 2021/2022). Quali le ragioni e tappe del declino? «Un processo che ha avuto inizio già con i buoni» come chiama Scotti le giunte di sinistra, in epoca di renzismo.

Uno dei grandi danni è stato la separazione tra sanitario e sociale con effetti deleteri sulla salute mentale: «Se non ci sono le condizioni di vita minimali la gente non si cura, se non badi alle condizioni delle persone che stai curando va sprecato tutto quello che fai per la loro salute». Ciò implica la presa in carica del paziente, concetto diverso da una logica di singola prestazione prevalsa con l’aziendalizzazione. Altro danno la frammentazione dei servizi, col rischio scaricabarile tra loro dei pazienti quando le risorse sono poche: «Con le richieste aumentate e le risorse diminuite, abbiamo una situazione tragica per esempio a Neuropsichiatria infantile che si limita a fare delle diagnosi, senza poter offrire una cura».

Anche in epoca di renzismo era prevalsa una prospettiva economicista e tecnicista: «Dovevamo dimostrare che eravamo produttivi, compilare dei moduli raccogliendo tutte le singole prestazioni vincolate a responsabilità individuali». Procedure che hanno minato la coesione, unitarietà e metodologia dell’equipe multidisciplinare. Infine, la vicenda del Progetto obiettivo: il piano per tutta la sanità e la salute mentale, presentato dal personale sanitario, è stato bocciato dai buoni, dalla giunta Marini. Scelte che hanno aperto la strada alla destra. «La politica chiamata non risponde» il titolo di un capitolo del volume di Scotti.

Parliamo con Elisabetta Rossi, psichiatra, direttrice dei servizi psichiatrici territoriali del perugino fino al 2022: «Con Tesei è arrivata la fine di ogni possibile interlocuzione, dai dirigenti o manager sanitari venivamo totalmente ignorati. Unico interesse della destra era radere al suolo il tessuto esistente». Abbandonati sono stati anche i consultori familiari, un altro gioiello della sanità umbra, anzi, sono spariti. Creati della legge del 1975, ne esistevano 9 a Perugia, oggi ne è rimasto solo uno. Ne parliamo con Dorotea Verducci, ex assistente sociale, attivista Udi e Spi-Cgil: «Ogni volta che c’è un femminicidio o violenza tra giovani si invocano azioni che sono quelle che noi facevamo». Nelle scuole, informazione sulla sessualità e la contraccezione, educazione alle emozioni e ai sentimenti.

A scuola uno sportello per i giovani, al consultorio una psicologa mandata dal Cim. «Era un esempio di come si può fare prevenzione prima che il disagio diventi strutturale». Un’attività a tutto campo, tante figure professionali per la presa in carico. «I dirigenti dell’Asl facevano sentire tutte le figure professionali parte integrante di un servizio». Verso il 2015, con la giunta Marini, «le cose sono cambiate per un sostanziale disinteresse». Il personale che andava in pensione non veniva sostituito così i consultori si sono spenti. Con la giunta Tesei il momento tombale: tempo del modello Pillon, la difesa della famiglia tradizionale, contro l’aborto.

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