L’Emilia non è più rossa, ma De Pascale vede la meta
Regionali Alle politiche 2022 le destre vinsero 10 collegi uninominali su 16. Ma i progressisti erano divisi. Ottimismo nel Pd, già si pensa alla squadra: tra gli uscenti riconferma certa solo per l'assessore a Lavoro e sviluppo Vincenzo Colla (che spianò la strada al sindaco di Ravenna col suo passo indietro a luglio)
Regionali Alle politiche 2022 le destre vinsero 10 collegi uninominali su 16. Ma i progressisti erano divisi. Ottimismo nel Pd, già si pensa alla squadra: tra gli uscenti riconferma certa solo per l'assessore a Lavoro e sviluppo Vincenzo Colla (che spianò la strada al sindaco di Ravenna col suo passo indietro a luglio)
L’apparenza di una campagna elettorale alla camomilla, senza un attimo di suspense o colpi bassi, non deve trarre in inganno sui numeri che anticipano la sfida elettorale in Emilia-Romagna. La regione rossa per antonomasia non è più blindata da molti anni. Non solo perché nel 2020 la candidata di Salvini, Lucia Borgonzoni, era accreditata fino all’ultimo minuto di un testa a testa col governatore Bonaccini (a sorpresa finì 51,4% contro 43,6%).
Ma perché dopo quel gigantesco sospiro di sollievo, i numeri delle politiche 2022 hanno mostrato una mappa dei collegi uninominali assai più blu (centrodestra) che rossi, con l’eccezione di Bologna, Modena e parti della Romagna. In sintesi, su 16 collegi uninominali tra Camera e Senato, le destre in regione ne hanno vinti 10, il centrosinistra 6. Non era mai accaduto.
Certo, in quelle elezioni il Pd correva solo con Avs e +Europa, mentre i 5S andavano per conto proprio così come l’allora coppia Renzi-Calenda. E tuttavia non va dimenticato che a ovest di Modena, e anche nel ferrarese, la destra è stabilmente insediata, prima col verde della Lega e ora con Fdi, che alle europee ha preso il 28% in regione. E alle comunali di giugno a Ferrara il sindaco leghista Alan Fabbri ha conquistato il secondo mandato con il 58%.
Alle elezioni del giugno scorso per Strasburgo i numeri sono tornati ad allinearsi alla tradizione: il campo larghissimo ha preso (in totale) il 56% contro il 40% delle destre, in voti reali fa 1,1 milioni di voti contro 800mila. Un distacco importante, ma va ricordato che l’affluenza 5 mesi fa in regione superò il 59%, mentre stavolta il rischio che l’asticella si fermi sotto il 50% è molto alto. Numeri che non portano a invertire i pronostici della vigilia (vittoria di Michele De Pascale sulla candidata del centrodestra Elena Ugolini), ma che fanno capire come nessun voto, neppure da queste parti, sia scontato.
Lo sanno bene i dirigenti del Pd emiliano-romagnolo, consapevoli però di aver stavolta un «percorso netto», come l’ha definito Igor Taruffi, braccio destro di Schlein: la coalizione è la più ampia possibile, il veto di Conte sui renziani è stato bypassato inserendoli in una lista civica, il candidato è unanimemente riconosciuto come un ottimo amministratore e, da agosto, ha fatto una campagna porta a porta senza «nascondere sotto il tappeto» i problemi che ci sono, dalla sanità alla difesa del territorio alle crisi aziendali. Ma anzi, mostrando una certa grinta e volontà di affrontarli da martedì prossimo.
Venerdì sera per la chiusura in piazza Santo Stefano a Bologna si respirava, al di là delle dichiarazioni ufficiali, un diffuso ottimismo e i sorrisi si sprecavano. Già si ragiona sulla nuova giunta, che dovrà tenere conto delle esigenze dei territori (De Pascale è romagnolo e Bologna vuole delle compensazioni).
Tra gli uscenti della squadra di Bonaccini è certa solo la conferma di Vincenzo Colla, assessore al Lavoro e allo sviluppo economico, che a luglio fece il passo indietro che spianò la strada a De Pascale (poi ha coordinato il programma). Per la sanità circola il nome di Giovanni Gordini, ex direttore dell’Unità di rianimazione dell’Ausl di Bologna, arruolato dal candidato presidente nella scrittura del programma e in una delle sue civiche.
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