Sono le 20 di domenica 30 luglio quando Jorge Ugalde, direttore del media locale Discontento Ciudadano Quintanarroense, riceve una telefonata dai vicini: due uomini hanno appena esploso due colpi di pistola contro la sua porta di casa, nella città di Cancùn, la capitale turistica della Riviera Maya, nello stato messicano del Quintana Roo. Ugalde chiama gli agenti del Mecanismo, il Meccanismo federale di protezione dei giornalisti e degli attivisti dei diritti umani, realtà creata nel 2012 per fronteggiare la sempre crescente ondata di omicidi: fa capo al governo centrale di Città del Messico, ne protegge oltre un migliaio, per due terzi giornalisti. Quando arriva a casa, Ugalde trova la zona transennata e i poliziotti di Cancùn impegnati a fare i rilievi. Chiama nuovamente gli agenti federali: gli spiegano che non possono intervenire perché ormai la zona è di competenza della polizia locale. Anziché tranquillizzarlo, la cosa lo preoccupa.

NON È LA PRIMA VOLTA che la redazione di Discontento Ciudadano Quintanarroense subisce un attacco: si tratta della sedicesima aggressione, compiuta a volte da parte di gruppi criminali organizzati, altre proprio da agenti della polizia municipale. E anche stavolta la matrice potrebbe essere tanto la criminalità che le autorità locali. In quelle ore la redazione si stava occupando di indagare sul ritrovamento di due cadaveri in avanzato stato di decomposizione nella Laguna di Nichupté, nella sfavillante zona hotelera, e aveva fortemente criticato l’operato delle forze dell’ordine, intente più a difendere l’immagine della città turistica che a fare luce sul duplice omicidio. Da qui la sua preoccupazione.

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La sera del 15 luglio un’altra giornalista locale, María Luisa Estrada di Grillotina Política, è in auto nel centro di Guadalajara, capitale di Jalisco, nella zona di Plaza de los Mariachis, insieme a una persona la cui identità non è stata rivelata per motivi di sicurezza quando un uomo a bordo di un furgoncino bianco si ferma, bloccando la strada, e apre il fuoco. Due spari. Estrada aggira il furgoncino e riprende la sua corsa, inseguita dall’uomo che la sorpassa nuovamente esplodendo altri tre colpi. Per fortuna nessun proiettile centra l’auto della giornalista, uno colpisce il muro della cattedrale. In pochi istanti interviene la polizia turistica e l’uomo si dilegua. Arriva una pattuglia della divisione della polizia di Guadalajara che si occupa di violenza di genere.

«Era solo un avvertimento», le dice un’agente: «Se avessero voluto davvero ucciderti, lo avrebbero fatto». Le indagini si muovono solo in una direzione: motivi sentimentali. Lei è certa: l’attacco riguarda il suo lavoro giornalistico. Si scontra con la procura generale di Guadalajara, che non apre nemmeno un fascicolo sul movente lavorativo. Le offrono la protezione del Mecanismo. Lei rifiuta: chiedeva una scorta, le hanno offerto solo un dispositivo che in caso di emergenza può essere azionato con un semplice bottone per avvertire gli agenti federali.

Il 7 agosto María de los Ángeles Nivón Molano, direttrice del portale Primera Línea Mx, pubblica un editoriale in cui racconta quanto lo Stato di Oaxaca sia diventato pericoloso. «Per le donne, per gli attivisti, per i giornalisti, per abitanti e perfino turisti». Poche ore dopo, durante la conferenza stampa mattutina, il governatore Salomón Jara Cruz denuncia «una campagna mediatica contro di lui» mettendo nel mirino «una giornalista che sta diffondendo il cancro della menzogna». Quindi Jara passa la parola al segretario di governo, José de Jesús Romero López, che per respingere quanto denunciato dalla direttrice di Primera Línea Mx parla addirittura di «guerra sporca» contro il governo dello Stato.

QUESTI TRE CASI raccontano la situazione attuale in Messico, che conta cinque giornalisti uccisi dall’inizio dell’anno accomunati dall’occuparsi, tutti, di cronaca locale: il più noto, Luis Martín Sánchez, era il corrispondente per La Jornada dallo Stato di Nayarit ed è stato ritrovato senza vita lo scorso 8 luglio nella città di El Aguacate. La moglie aveva denunciato due giorni prima la scomparsa del marito: con lui erano spariti anche il telefono cellulare, il computer e un hard disk, mai stati ritrovati. Nella stessa zona, tra il 4 e il 5 luglio, sono stati rapiti altri due giornalisti, Osiris Maldonado e Jonathan Lora Ramírez, entrambi liberati poche ore dopo il ritrovamento del cadavere del corrispondente de La Jornada.

Il movente emergerà solo dopo alcuni giorni di indagini: mettere a tacere la stampa scomoda, uccidendo il giornalista più famoso del gruppo e costringere al silenzio i due colleghi di quello che era da considerare un team investigativo. Pur lavorando in testate diverse, infatti, Martín Sánchez, Maldonado e Lora Ramírez condividevano informazioni e spesso decidevano di far uscire contemporaneamente la stessa notizia per evitare di esporsi singolarmente. Una pratica, questa, ormai necessaria in Messico dove uno scoop può costare la vita.

«LA STAMPA LOCALE è il primo contatto con la realtà per la cittadinanza e oggi è sono proprio i giornalisti che lavorano nei piccoli centri a essere maggiormente a rischio» ha spiegato Leopoldo Maldonado, direttore di Artículo 19, ong che difende giornalisti e attivisti per i diritti umani, in un forum organizzato dal quotidiano Reforma e andato in onda nel podcast Café de la mañana.

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«Sono giornalisti come Luis Martín Sánchez a raccontare giorno per giorno ciò che sta accadendo nelle comunità, ad analizzare i rapporti tra potere e criminalità in un territorio circoscritto». Spesso i casi sui quali lavorano i giornalisti locali non arrivano alle cronache nazionali, ed è proprio questo uno dei problemi: essere visibili, oggi in Messico, è una sicurezza in più. Restare confinati nel proprio Stato o addirittura nel proprio municipio «espone invece il giornalista a molti più rischi».

Un giornalista nazionale «può ritrovarsi attaccato pubblicamente dal presidente Andrés Manuel López Obrador, cosa che avviene quasi tutti i giorni nelle conferenze stampa mattutine del capo del governo federale, ma raramente a queste dichiarazioni seguono degli attacchi». Ma lo stile Obrador è ormai seguito, come dimostra il caso di Oaxaca, «anche da governatori locali e presidenti municipali. E lì la possibilità di un’aggressione fisica dopo la stigmatizzazione pubblica è molto più elevata».

C’È, INFINE, un ulteriore elemento che preoccupa: l’autocensura dei giornalisti e il conseguente silenzio. «Abbiamo purtroppo dovuto consigliare noi stessi ai colleghi di sospendere per un po’ la propria attività, di allontanarsi da casa, di andare in quello che è un vero e proprio esilio» sottolinea Maldonado. «L’effetto, però, è devastante. Le comunità perdono una voce libera e indipendente, la cittadinanza smette di essere informata. E quel territorio rischia di diventare uno Stato del silenzio».