Dal manifesto del 10 settembre 1989 la recensione a Palombella Rossa di Nanni Moretti a cura di Roberto Silvestri.  Questo articolo è stato riproposto nella newsletter speciale “Cuore di Cannes” dedicata al Festival francese del cinema in corso in questi giorni.

E continuiamo a farci prendere in giro da mezzo mondo, Biraghi. Nanni Moretti, il leone di Brunico, classe ’53, ecco perché è così cattivo e ha gli occhi da squalo. Perché ha giocato a pallanuoto. Anche nella Lazio, in serie A. E perché ce l’ha, giustamente, con il Pci. Un rapporto intenso e conflittuale, nato nel movimento del sessantotto, filone quarta internazionale, «setta» Soviet.

Avere il Pci nella testa, come oggetto d’affezione o ingombro poderoso sulla strada della rivoluzione in Italia, fa avere strane visioni, ti porta quasi alla pazzia. Michele è un folle puro anche in questa splendida parodia acida del fellinismo, nella nostra versione anni ’80 di un classico degli anni ’70 (un Rocky chiamato Michele). Alto funzionario del Pci, pochi giorni prima delle elezioni o di una sua Tribuna politica in tv molto discussa per il suo finale «stonato», facendo le boccacce in auto ai bambini seduti dietro nella macchina davanti perde il controllo, sbatte la testa e ha una elisi d’amnesia.

È bello perdere la memoria, senza volere poi incollare tutti i tasselli del puzzle-memoria li dove stavano. È bello soprattutto alla vigilia del doppio appuntamento dell’anno: le elezioni politiche e la partita clou del campionato di pallanuoto per la Rari Nantes Monteverde.

Già, Michele gioca alla politica ed è impegnato nello sport, contemporaneamente. Riacchiappato dai suoi compagni di squadra mentre deambula nella città, massaggiato e messo sul pullman il dirigente Pci ha soprattutto un problema di udito.Non ricorda il motivetto del «II sol dell’avenire».

Veramente i problemi di Michele riguardano proprio tutti i sensi. Olfatto, colpa della pallanuoto, dopo un po’ il naso ti si chiude e non riesci neppure a sentire i sapori del cibo (gusto), fosse anche la Sacher torte. E non parliamo della vista (litri di collirio) e, per un colpo d’occhio sbagliato, si può perdere uno scudetto. Il tatto esagerato poi, significa farsi cacciare dall’arbitro.

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Questo sport è rude, anzi: «non è per signorine»; «ti strappano i peli ascellari, tu rispondi, e ti espellono per tutta la partita…» avverte l’allena- tore (Silvio Orlando, la migliore imitazione possibile di Trapattonì) e sembra la descrizione di un congresso del Psdi.

Il mister è un diluvio di avvertimenti tattici: zona, pressing a tutto campo o raddoppio?, tiri forzati, espulsioni guadagnate, inutile fare passaggi laterali con la zona e guardate gli schemini. Un frasario fatto, gergo screanzato, che guarda caso gli ricorda qualcosa: il sinistrese, il politichese, il sindacalese.

Tutto un doppio mondo agonistico terribile, ma c’è almeno la passione dietro li, il fuoco sotto (l’m on fire canta Springsteen), si danza nell’ombra, si galleggia a mezz’aria, si hanno tre anime almeno, si sta a mollo in una pozza d’acqua (parentesi: aria terra, fuoco e acqua, Moretti cattura gli elementi base della vita e sulla morte e ne fa dato strutturante del film, come nei grandi classici Usa).

Siamo finalmente davanti a un Moretti di spessore hollywodiano – si cita Berkeley – fluido, popolare e «totalmente surrealista» nello stesso tempo, come dice con gusto un collega spagnolo e intende: feroce, possente, dissacrante, purificante, macchinetta portatile contro la cretineria di regime dominante.

È il film, filone «della crudeltà», pur rimettendo in discussione le impalcature militanti e di organizzazione di allora (movimento studentesco, ala di fideismo religioso, alfabetizzazione catechistica) e di oggi (il fondamentalismo verde degli «Indiani cicorioni», oltretutto Moretti ha detto no a Veltroni, niente lista Pci per le elezioni romane), ribadisce, virgola su virgola momento su momento, nello spinoso spazio di una piscina e (lei ricordi d’infanzia, l’attualità di tutto ciò che fece scendere in piazza forse arrestare, quasi morire lui. non la sua generazione: «la generazione del ’68 non mi commissiona film. Parto da me stesso e credo di arrivare anche ad altri».

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Cosa lo spinge, furioso, contro un mondo sempre più ingiusto e infelice? È ideologia volgare e falsa, e va combattuta dal capitalismo che ha risolto tutte le contraddizioni. Ma allora sei schematico? Ateo? Materialista? Non vuoi bene ai ciellini? «Si. sono schematico, ateo, materialista e i ciellini li spintono».

Moretti, alla ricerca di quanto tempo si è perduto, costruisce un capolavoro di sottigliezza comica sgorgante dalla sua vena migliore. Film scritto, controllato, pignolo, e mai lavoro e soldi, moneta su moneta, si son spesi con tanto acume.

Il komeinismo dell’ultima fase (Messa è finita) viene rimesso su un piedistallo umano, attraverso l’invenzione di figurine, fantasmatiche presenze horror che spiazzano Michele: come il duo Santagata-Morganti, o il profeta del gol teolotico che teorizza i 4 tipi di silenzio e ti predice la fine dopo ben 163 «silenzi-gol» (Raul Ruiz); o come la figlia dodicenne Asia Argento che in fondo lo pizzica nel profondo: «non ti piace la parola godere, il locale trend, la patacca kitsch, il Bignami sul Pci, chi parla male perché pensa male perché vive male e neanche se ne accorge, non ti piacciono gli angeli custodi che ognuno si porta dietro e li sbandiera per farsi forza e darsi sicurezza. Fai bene. Hai ragione su tutto, ma papà, ti annoi perché sei noioso!»,

Moretti, dantesco e majakovskiano, ci urla dietro che bisogna inventare un linguaggio nuovo e una vita nuova e si arrotola le maniche per contribuire. Un set alla David Hockney, con questo azzurro da gocce Stilla, un pubblico da brivido, un film sportivo di classe (come andrà a finire la partita? E quel rigore finale che potrebbe portare al 9-9 Michele lo centrerà o fallirà?) con momenti velocizzati, altri di pressing, e uso del ralenti anti-televisivo, cioè comico per la situazione, emotiva inventata, non per la messa in berlina dell’atleta.

Beppe Lanci punta a far vivere i colori, blu rosso bianco della bandiera francese o americana, in questo doppio invito alla rivoluzione, uguale a quella e diversa da quelle; e dentro uno spazio architettonico opprimente anni ’50. Come il Pci che Mario Schiano, Mario Sesti e Angelo Pasquini sfottono interpretando benissino i telegiornalisti di palazzo nella Tribuna Elettorale. Uguale. Perché sempre uguale nei voti il Pci rimane. E diverso, da quello che tutti sperano. Alla fine Michele e sua figlia muoiono in un incidente stradale.

Forse perché Michele è contro le auto e la Fiat. Si innalza sui tralicci un sol dell’avvenire e tutti i personaggi del film, alla Fellini, salendo una collinetta gli vanno incontro a braccia allungate in segno di adorazione. Michele, da bimbo, ride a più non posso.