Editoriale

La breccia nel campo “europeista”

Gadget elettorali per Ursula von der Leyen, esposte durante il vertice del Ppe a Bruxelles foto AnsaGadget elettorali per Ursula von der Leyen, esposte durante il vertice del Ppe a Bruxelles – Ansa

Destre Inesorabilmente, senza un briciolo di pudore, tutti i pezzi di un’Europa che così a destra non era mai scivolata vanno incastrandosi al loro posto. I popolari firmano insieme all’Ecr e […]

Pubblicato 21 giorni faEdizione del 21 settembre 2024

Inesorabilmente, senza un briciolo di pudore, tutti i pezzi di un’Europa che così a destra non era mai scivolata vanno incastrandosi al loro posto.

I popolari firmano insieme all’Ecr e ai Patrioti di Orbán una mozione congiunta per una risoluzione, poi approvata dal parlamento europeo (anche con i voti di Afd), che riconosce il candidato dell’opposizione venezuelana Gonzalez Urrutia come legittimo vincitore delle elezioni presidenziali a Caracas.

Di Maduro e delle derive autoritarie in Venezuela si può pensare tutto il male immaginabile, ma il segnale di possibili e frequenti maggioranze con il contributo decisivo della destra estrema è sotto gli occhi di tutti.

La Commissione di Ursula von der Leyen (seppure tutte le avvisaglie si erano già manifestate prima delle elezioni europee dello scorso giugno) rispecchia qualcosa di molto diverso dalle promesse spese per riprodurre la maggioranza di centrosinistra che aveva sostenuto il primo mandato della democristiana tedesca.

Accentramento dei poteri, marginalità delle tematiche sociali, personaggi inquietanti in posti delicati come l’austriaco Magnus Brunner, già ministro nel governo di ultradestra di Sebastian Kurz, scelto come commissario all’immigrazione, Green deal ridimensionato e costretto a lasciare cortesemente il passo alla competitività, porte aperte alle destre dell’Ecr e non solo. Non si tratta semplicemente di sfacciato opportunismo, ma di una inclinazione politica che va profilandosi sempre più nettamente. In sintonia, del resto, con lo spostamento a destra della Cdu-Csu di Merz e Söder, che non si può imputare al solo bisogno di sottrarre argomenti ed elettori all’Afd, ma anche a una convinzione ben radicata.

Passando alla crisi politica in Francia, il governo di minoranza guidato da Michel Barnier sarà reso ufficiale solo «entro domenica», una volta sistemato il mercato delle cariche e qualche perplessità dei centristi Modem sulla insopportabile puzza di Vandea, di integralismo cattolico e di piglio autoritario che ne emana, malgrado la dominante numerica macronista.

Davvero un bel “fronte repubblicano”.

Sulla Germania incombe intanto un probabile trionfo della Afd in Brandeburgo nelle elezioni regionali di domenica e imperversa la gara su chi più si spende per i respingimenti dei migranti e le restrizioni del diritto di asilo. Il ministro democristiano degli interni del Brandeburgo Michael Stübgen, in competizione con l’estrema destra, propone l’eliminazione del diritto di asilo individuale dalla Legge fondamentale e la sua sostituzione con contingenti a numero limitato. I vertici della Cdu e Csu annuiscono.

Intanto la Bundesrepublik mantiene la sospensione dell’accordo di Schengen e i controlli su tutte le sue frontiere intraeuropee, introdotti con la messa in scena securitaria seguita all’attentato di Solingen. Un accanimento contro i profughi e i rifugiati che ha qualcosa di profondamente osceno. Mentre le preoccupazioni principali dovrebbero rivolgersi alla spaventosa crisi che si è abbattuta sulla Volkswagen e soprattutto alle ricette padronali da decine di migliaia di licenziamenti messe in campo per superarla.

La sinistra promette battaglia con toni più accesi in Francia, dove più sfrontata è stata la giravolta verso destra ai suoi danni. Con minore decisione in Europa dove ancora coltiva l’illusione di poter condizionare la composizione e l’operato della Commissione di Ursula von der Leyen, laddove lo slittamento a destra è talmente evidente da richiedere una politica di sbarramento senza timidezze.

Sul terreno dell’Unione europea è intervenuto un mutamento importante che non è stato ancora debitamente percepito. Fino alle elezioni per il parlamento europeo dello scorso giugno esistevano due campi ben distinti. Da una parte un’area convintamente europeista che spaziava dalle forze liberali al centro conservatore e tradizionalista, fino alle socialdemocrazie, alle componenti ecologiste e, marginalmente, di sinistra più caratterizzata. Dall’altra parte, sovranisti, nazionalisti e destre identitarie più o meno esplicitamente antieuropeiste e dedite a boicottare i processi di integrazione e ad affossare le aspirazioni comunitarie.

Oggi queste forze hanno acquisito un grande peso nelle e sulle politiche europee, ne condizionano le istituzioni e gli orientamenti. Per dirlo con una formula siamo di fronte a un uso reazionario della dimensione europea e la Commissione guidata da Ursula von der Leyen sembra muovere proprio in questa direzione.

In un simile frangente non basta confidare nella rotta di collisione tra loro cui i nazionalismi sono naturalmente destinati. È all’interno del campo “europeista” che il conflitto si è ormai insediato e nulla garantisce più una alleanza senza alternative tra i popolari e la socialdemocrazia. Soprattutto non garantisce più quella idea di Europa per la quale, con molti compromessi, i movimenti sociali europei si sono battuti nel corso degli anni.

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