Europa

Governo Barnier, la continuità con svolta a destra

Incontro all’Eliseo tra Emmanuel Macron e Michel BarnierIncontro all’Eliseo tra Emmanuel Macron e Michel Barnier – Ap

Francia All’economia, difesa e esteri Macron mette i suoi. Su sicurezza, diritti e immigrazione si insegue il Rassemblement National. Stretta austerità: previsti tagli alla spesa più che aumenti di tasse ai più abbienti. Agli Interni l’ultra cattolico Retailleau, alla famiglia l’anti-lgbt Garnier

Pubblicato 14 giorni faEdizione del 21 settembre 2024

Due mesi e mezzo dopo il voto delle legislative, un’estate di Giochi Olimpici ben riusciti che hanno alleggerito l’attesa per la nomina di un primo ministro, poi ancora 15 giorni per presentare un governo da parte del prescelto Michel Barnier.

Settantatré anni, ex ministro e politico di lungo corso, sempre a destra, Barnier ha avuto il suo momento di massima gloria come negoziatore del Brexit per la Ue dopo essere stato due volte commissario a Bruxelles, ma che l’opportunismo politico ha già fatto deviare verso il sovranismo quando ha corso, senza successo, per la candidatura Lr alle presidenziali del 2022.

OGGI DOVREBBE ESSERE il grande giorno dello svelamento della compagine dell’accordo tra area Macron e destra Lr – se verranno dissipati i dubbi del MoDem – una mezza “coabitazione”, tra il presidente Macron, che ha incassato due sconfitte elettorali consecutive (europee del 9 giugno e legislative dopo l’azzardato scioglimento dell’Assemblée Nationale), e il governo Barnier, che tutti i grandi papaveri macronisti e Lr hanno evitato, per timore di farsi travolgere alla prima “censura” in parlamento.

Un governo che ribalta il risultato elettorale, con il Nuovo Fronte Popolare arrivato in testa ma scartato da Macron, per allearsi «con la destra più rancida», commenta il Ps. «In Francia con Macron tutti gli sconfitti alle ultime elezioni faranno il governo» commenta Manuel Bompard della France Insoumise.

ALCUNI NOMI di spicco sono stati censurati preventivamente dal Rassemblement National, che ha potere di vita e di morte sulla durata del governo Barnier, che ha ceduto senza lottare, azzerando le velleità di Gérald Darmanin (che avrebbe voluto passare dagli Interni agli Esteri) e ha escluso la riconferma di Eric Dupont-Moretti (ex Giustizia) o la nomina di Xavier Bertrand, presidente di destra della regione Hauts-de-France, tutti giudicati «irrispettosi» nei confronti dell’estrema destra.

Nella speranza di sopravvivere qualche tempo, Barnier mette in avanti la “rottura” con il passato. «Perché lo scioglimento dell’Assemblée Nationale se è per prendere gli stessi, ancora più a destra?» si chiede l’ex presidente François Hollande, ridiventato deputato.

In effetti, la continuità coabita con una svolta a destra. La continuità con i 7 anni di presidenza Macron non riguarda solo la presenza di ministri dell’area Macron, che hanno soffocato l’euforia di Lr che per qualche giorno ha preteso l’en plein malgrado i suoi 47 deputati: 7 per Ensemble (ultimo nome del gruppo del partito del presidente, 2 per gli alleati del MoDem e 1 per Horizon, il partitino dell’ex primo ministro, Edouard Philippe), che non cedono posti importanti nell’economia, alla Difesa e agli Esteri (le aree che interessano l’Eliseo).

È dietro le quinte che la continuità pro-business cerca di essere garantita: i quattro “moschettieri” di Macron, quasi sconosciuti al grande pubblico (a parte il segretario generale dell’Eliseo, Alexis Kohler) continueranno a tirare le file dell’economia (dal ministero dell’Economia, Jérôme Fournel è passato direttore di gabinetto di Barnier). Agli Esteri, infranto il sogno di Gérald Darmanin, dovrebbe essere designato un europeista, il MoDem Jean-Noël Barrot. Alla Difesa dovrebbe restare Sébastien Lecornu.

Barnier ha già messo le mani avanti sullo scivolone dei conti pubblici «molto preoccupanti»: si annuncia una stretta di austerità, ci sono 3.160 miliardi di debito e un deficit che quest’anno sarà del 5,6% e potrebbe salire al 6,2% il prossimo.

I tagli sono già stati preparati dal governo uscente di Gabriel Attal, il ministero del Lavoro è in testa. C’è stata una forte tensione sulle tasse, Barnier ha persino messo sulla bilancia le dimissioni mercoledì sera, i macronisti hanno minacciato la fronda per difendere il calo dell’imposizione (55 miliardi in sette anni per l’ex ministro Bruno Le Maire, 62 miliardi per la Corte dei Conti).

Ma alla fine l’accordo è stato concluso: ci saranno tagli alla spesa più che aumenti di tasse ai più abbienti.

È SULLE QUESTIONI di ordine e di società che la svolta a destra sarà visibile.

L’immigrazione, prima di tutto. Potrebbero tornare le parti della recente legge censurate dal Consiglio costituzionale. Il Rassemblement National già prepara un’offensiva sulla “preferenza nazionale” per le assunzioni nel settore privato: sarebbe un rovesciamento delle norme, anche europee, di non discriminazione.

Agli Interni arriva Bruno Retailleau, delfino del vandeano Philippe de Villiers, ultra cattolico tradizionalista, contrario all’interruzione volontaria di gravidanza nella Costituzione, che ha votato bianco alle ultime presidenziali, rifiutando di scegliere tra Macron e Marine Le Pen e che ha come slogan «ordine, autorità, fermezza».

RESISTENZA FINO all’ultimo dell’Eliseo sul nome per la ministra della Famiglia, la senatrice Lr Laurence Garnier, anti-matrimonio per tutti, anti reato per chi impone terapie contro i transgender.

Barnier farà il discorso di politica generale il 1° ottobre. Poi inizia il rally delle possibili “censure”. Ci sarà subito quella del Nuovo Fronte Popolare. Il Rassemblement National affila invece le armi per il dopo.

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