La mattina del 7 ottobre aspettavamo le prime, auspicabilmente buone notizie sull’andamento della diffusione militante del giornale, quando sono arrivate anche a noi altre notizie e pessime da Israele. Quel sabato ci eravamo svegliati convinti che la manifestazione della Cgil e delle associazioni in piazza San Giovanni a Roma sarebbe stata il centro della nostra giornata, l’attacco terroristico di Hamas ha stravolto i piani per quel giorno e per le settimane successive.

Caso raro, Michele Giorgio, il nostro storico corrispondente da Gerusalemme, quel sabato era in Italia e mentre lui passava la giornata raccogliendo notizie e trovando il modo di ripartire subito, noi cercavamo un modo per leggere la clamorosa novità di quel tragico attacco, alla luce della lunga storia dell’occupazione israeliana, non certo una storia di pace. “La sorpresa della guerra”, la nostra prima copertina di domenica 8 ottobre (con la manifestazione Cgil spinta in basso) parlava proprio di questo: di un evento mai visto ma anche di un conflitto e di una violenza che solo chi non aveva voluto guardare negli occhi le sofferenze e le ingiustizie patite dai palestinesi poteva considerare fino in fondo una guerra a sorpresa.

Che la conseguenza della barbara violenza di Hamas sarebbe stata tragica innanzitutto per i palestinesi era chiaro dal primo momento, “Sangue su sangue” è stata la nostra copertina del martedì successivo, titolo sovrapposto alla bocca di un cannone di un carro israeliano, già pronto al limite della striscia di Gaza.

Da subito un editoriale di Luigi Ferrajoli ha spiegato che “la risposta ai terroristi non è la guerra”, mentre il nostro Tommaso Di Francesco ha scritto parole che valgono oggi come allora: “Non esitiamo a definire l’attacco di Hamas come terrorista e barbaro. Uccidere a sangue freddo civili o sequestrarli, offendere i vinti, devastare i corpi delle donne, di chi non è della tua religione, non corrisponde ad alcun principio di liberazione e nemmeno di guerra asimmetrica; al contrario, per la sua efferatezza, rischia di legittimare l’oppressione che si vorrebbe combattere e di alimentare nuovo odio”.

Il giorno successivo è stato uno dei più difficili di queste settimane di guerra. E’ stato il giorno in cui l’esercito di Israele ha ripreso, con fatica e ritardo, il controllo dei kibbutz dove Hamas aveva fatto strage e le prime immagini e i primi racconti da Kfar Aza hanno cominciato a circolare. Un sito israeliano molto discusso, i24news, per primo ha riferito il racconto di un volontario di un’organizzazione umanitaria israeliana (che si occupa di ricomporre i cadaveri dopo gli attentati) che aveva parlato di bambini decapitati dai terroristi. Orrore su orrore che però non trovava altre conferme, malgrado in quel kibbutz fossero entrati gli inviati di grandi testate internazionali, New York Times, Bbc, Washington Post, Reuters, Guardian: nessuno di loro testimoniava di questi macabri ritrovamenti. La notizia comunque conquista velocemente le prime pagine dei giornali italiani (e solo di quelli va detto) del giorno dopo, a oggi questo particolare macabro non ha ancora trovato conferme, anche se diversi episodi di accanimento su adulti e bambini israeliani, nonché di scempio dei cadaveri, sono stati persino filmati; l’orrore è stato tale che non è possibile aumentarlo di grado (e proprio per questo non ha senso dare per certe alcune notizie presentandole come le più importanti del giorno, quando certezza non c’è). Non è stato facile la sera del 10, un martedì, preparare la copertina dell’11 ottobre, alla fine la foto scelta dalla nostra compagna del fotografico Nora Parcu è un dettaglio di una casa di Kfar Aza, una porta crivellata dai proiettili con appena un rivolo di sangue. Il titolo, “Orrorismo”, può sembrare un neologismo ma non lo è, è il titolo di un saggio di diversi anni fa di Adriana Cavarero (Orrorismo ovvero della violenza sull’inerme).

Con le prime pagine dei giorni successivi abbiamo cercato di spostare l’attenzione su quello che stava accadendo a Gaza, dove rapidamente la reazione di Israele ha preso le forme di una punizione collettiva, con l’aggravante di un coro di Stati che confondono la solidarietà con le vittime del terrorismo con il diritto di replicare senza limiti la violenza. “Nel buio” il giorno in cui l’ultimo impianto elettrico pubblico di Gaza si è bloccato.

I civili” con una bellissima foto di bambini di Gaza sfollati a Khan Yunis che ci ha fatto molto discutere (alla fine l’abbiamo pubblicata oscurando i volti, e adesso riguardandola non si può non pensare con angoscia alla sorte di quei bambini), le nostre copertine hanno provato a spostare l’attenzione non sull’attesa dell’invasione di terra, più volte annunciata da Israele, ma sul dramma che era già cominciato a causa dei bombardamenti nella Striscia.

Nel frattempo anche il disegno della nostra prima pagina è cambiato. Sempre più spesso il secondo titolo si è abbassato, o sparito, la guerra in Medio oriente si è presa tutto lo spazio. Il sommario dell’apertura non basta più, aggiungiamo altri titoli ma non riusciamo ad allontanare la nostra attenzione dal Medio oriente.

Un’altra serata particolarmente difficile nella nostra redazione di Trastevere è stata quella del 17 ottobre, al termine di una giornata di “ordinari massacri” nella Striscia. La nostra prima pagina è già disegnata quando arrivano le prime notizie sull’ospedale Ahli Arab, a Gaza city, centrato da un ordigno. Si parla, fonte naturalmente palestinese, di un numero enorme di morti, cinquecento, settecento. Ma dopo poco le fonti israeliane dicono: non siamo stati noi. Chiudere l’edizione di carta, che alle dieci deve essere in tipografia, è complicato, decidiamo di raccontare sotto il titolo “Senza pietà” che quello che è successo è in ogni caso l’effetto dell’assedio spietato di Gaza, parliamo “centinaia” di vittime e diamo conto sin dal sommario generale della versione di Tel Aviv.

La difesa israeliana il giorno successivo chiama i giornalisti per fornire le prove che la strage dell’ospedale è responsabilità di Hamas: si tratterebbe di un loro missile caduto prima di varcare il confine. Ma il primo video proposto come prova, quello di una serie di razzi partiti dalla striscia nella notte, è risultato successivo ai fatti; l’audio in cui parlerebbero dei miliziani di Hamas e riconoscerebbero le loro responsabilità è risultato manipolato; infine la prova regina, un frammento dello streaming di Al Jazeera in cui si vedono l’esplosione di un missile intercettato e la sua caduta a terra, a un’esame più attento appare riferirsi a una zona lontana a quella dell’ospedale e probabilmente a un intervento dello scudo Iron Dome israeliano. Eppure, per il cratere e per i danni che sono stati filmati nel parcheggio dell’ospedale, resta il dubbio malgrado indagini assai ben fatte della stessa Al Jazeera e del britannico Channel 4. Il New York Times nel frattempo si è scusato per aver dato troppo per sicura la responsabilità di Tel Aviv ma non ha proposto certezze contrarie. Servirà un’indagine internazionale indipendente, come si dice sempre in questi casi sapendo che non ci sarà mai.

Nel frattempo da Roma era partito per Israele il nostro Sabato Angeri, che i lettori del manifesto ben conoscono come inviato in Ucraina. Con Michele Giorgio a coprire i racconti da Gaza e quello che nel frattempo succedeva in Israele e in Cisgiordania, le cronache di Sabato dal confine di guerra ci sono state utilissime per cogliere e raccontare lo spirito di tanti israeliani, militari compresi, tenaci avversari di Netanyahu eppure in questo momento convinti della necessità di farla pagare ad Hamas entrando a Gaza.

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Fra i soldati impazienti di entrare nella Striscia

Se gli aiuti umanitari sono arrivati finalmente nella striscia, ma pochi e con grande ritardo dal valico di Rafah – “Passo e chiudo” il titolo del 22 ottobre – martedì 24 la copertina è un nuovo tentativo di richiamare l’attenzione sulla criminale operazione di guerra da cielo a Gaza, “Nell’attesa”, questo il titolo, dell’operazione di terra. “Lasciare a Netanyahu mano libera nella vendetta – abbiamo scritto – non risponde al desiderio di proteggere Israele. Ma solo a quello di sterminare con cinica arroganza un problema che non si è saputo affrontare. Eliminarlo anche dai propri pensieri. Ma quel «problema» è l’esistenza stessa del popolo che quelle terre abita, i bambini, le donne e gli uomini palestinesi che stanno morendo, ammazzati, a migliaia”.

Tornato Angeri a Roma, è partita per Gerusalemme Chiara Cruciati, la nostra vicedirettrice. Viaggio complicato il suo, con controlli pesanti alla partenza da Fiumicino con la compagnia israeliana e computer sequestrati, poi per fortuna tutto si è risolto. Chiara conosce bene la Palestina e in questa drammatica circostanza può contare sulle fonti e i contatti che si è costruita in anni di copertura del Medio oriente, servirebbe tanto qui alla macchina del giornale ma il suo posto adesso è lì, da inviata. Nel frattempo, Israele dichiara una metaforica guerra anche all’Onu e soprattutto al diritto internazionale, la nostra copertina dice “Diritto di vetro”.

I bombardamenti su Gaza nel silenzio delle nazioni crescono di intensità, tanto che è difficile immaginare quale escalation potrebbe esserci con un attacco da terra, la sintesi della prima di ieri è “Come in terra” su una foto terribile e bellissima delle devastazioni scattata da Mahmud Hams di Getty Images nel sud della Striscia. Sembrava impossibile fare peggio, trovare ancora qualcosa da distruggere, eppure stava per iniziare una notte ancora peggiore per i civili palestinesi.

Quella appena passata, con l’aviazione israeliana impegnata a bombardare come non mai, “Alla cieca”. La nostra prima del 28 ottobre.