«Siamo pronti, ma noi siamo soldati, non prendiamo le decisioni, quello spetta al governo. Quando daranno l’ordine, allora partiremo». Il canuto portavoce della brigata che ci accompagna nel kibbutz di Kisufim ne ha viste troppe per caderci così ingenuamente e, infatti, sorride. «Ma in Occidente sono tutti convinti che la manovra di terra partirà tra poco, forse oggi?». «Non ho queste informazioni, mi dispiace» risponde con un sonoro accento della costa ovest degli Stati uniti, dall’alto dei suoi Rayban neri e della camminata un po’ da cowboy. Sembra una di quelle figure ibride: ufficiale di collegamento, ex-membro dell’intelligence o forse entrambe. Comunque, non dice nulla, tranne che «certe persone vorrebbero solo vedere bruciare il mondo e quelli di là sono così. Se potessero ci ucciderebbero tutti, ma per fortuna siamo più forti». E potete ucciderli voi. Non apprezza lo spirito, ma prosegue «ora il mondo sa di cosa sono capaci questi terroristi: uccidere, sgozzare, violentare… sono una minaccia per tutta l’umanità, persino per i palestinesi che in generale sono brava gente. Comunque, dillo agli italiani: state tranquilli, ci pensa l’Idf». Fine della conversazione, allontanarsi in gruppo verso l’uscita e arrivederci.

È SHABBAT e anche nei kibbutz occupati solo dai militari ci sono tavolate imbandite con ciò che le mense da campo permettono. Hanno tutti la kippah, cantano «la canzone di shabbat» come spiega l’interprete, scherzano e sembrano rilassati. Non hanno voglia di parlare con noi e si capisce: potrebbe essere uno dei loro ultimi momenti di tranquillità. Tutti girano armati, l’atmosfera è decisamente cambiata rispetto a qualche giorno fa. Anche il portavoce di Yoav Gallant, il ministro della Difesa israeliano, l’ha detto: le forse armate continuano i preparativi per la «prossima fase della guerra, inclusa l’operazione di terra». «Le truppe» continua il funzionario, «sia quelle in servizio sia i riservisti, sono schierate sul campo e si stanno addestrando in accordo con i piani operativi approvati». I quali, del resto, potrebbero essere ben diversi da quelli ipotizzati nelle prime ore dopo l’attacco di Hamas. Innanzitutto potrebbe non essere la fanteria ad avere il ruolo di protagonista. L’idea di uno sfondamento frontale con ruspe e blindati sembra sia stata accantonata dallo stato maggiore di Tel Aviv. Più plausibile, al momento, che l’operazione si sviluppi su tre piani differenti che comprendono tutte le forze armate.

A INIZIO SETTIMANA abbiamo raccontato della marina di Zikim (sotto Ashkelon), da dove dei militari diversi da quelli ordinari ci avevano cacciato bruscamente. Proprio in quell’area ora si stanno raggruppando motoscafi veloci, mezzi anfibi e piccoli natanti da sbarco. Difatti sembra che agli incursori spetterà il ruolo di apripista i quali saranno inviati, di notte e senza preavviso, verso il molo di Gaza city, dove avranno il compito di occupare una posizione stabile e creare una zona sicura per l’atterraggio dei paracadutisti.

VENERDÌ li abbiamo visti, i ragazzi nei pressi di Nahal Oz, tenuti impegnati dagli ufficiali che gli fanno simulare assalti in campo aperto. Incursori della marina e paracadutisti dovranno stabilire una testa di ponte che permetta alle forze armate israeliane di avere un campo base dentro Gaza per paracadutare o trasportare dal mare munizioni, rifornimenti e truppe fresche. Verosimilmente in questo punto si concentrerà tutto il fuoco di Hamas nelle prime ore. Successivamente sarà la volta dei bulldozer e delle ruspe. Venerdì, nei pressi di Tel Aviv ne abbiamo vista una che i militari chiamano «la bestia», un mezzo interamente corazzato del peso di 56 tonnellate che nei momenti più rischiosi i militari mandano avanti. A vederlo si può solo immaginare lo scompiglio che crea quando entra in un’area densamente popolata in testa a un reparto di fanti armati fino ai denti. E infatti, a seguito dei mezzi da sfondamento sarà la volta della fanteria meccanizzata, ora di stanza nei pressi di Ashdod e Sderot, schierata ordinatamente sui campi ancora incolti. Entrati i fanti si sarà al massimo livello d’ingaggio, con l’aviazione in ricognizione costante per individuare e segnalare eventuali movimenti sospetti, i movimenti via mare bloccati e le strade chiuse.

A QUEL PUNTO, sembra chiaro, qualsiasi cosa si muova sarà considerata potenzialmente pericolosa e abbattuta. Così come si leggeva sui volantini sganciati ieri mattina su Gaza nord: «Andatevene a sud di Jabalia» perché Israele continuerà ad attaccare «i luoghi dai quali vengono lanciati razzi verso il suo territorio». Un monito che non lascia spazio ad alcuna alternativa. Il seguito, in ogni caso, è già noto e si chiama «effetto collaterale». Nel nostro caso, che non parliamo come i generali, quell’espressione è traducibile in centinaia, forse migliaia, di altri morti civili.