«Dateci gli strumenti più velocemente e noi finiremo il lavoro prima»: questo l’appello di Benyamin Netanyanhu a Washington, in cui accenna implicitamente alla presunta riluttanza dell’amministrazione Biden a esportare le armi americane a Israele.

LO HA DETTO durante il suo chilometrico discorso davanti al congresso statunitense, precisando che «l’accelerazione degli aiuti militari statunitensi può affrettare drasticamente la fine della guerra a Gaza e contribuire a prevenire una guerra più ampia in Medio Oriente». Non è la prima volta che Bibi pretende più armi dagli Usa. Un mese fa, il primo ministro israeliano ha accusato Washington di «trattenere armi e munizioni» da Tel Aviv negli scorsi mesi. La risposta del portavoce della Casa bianca Karine Jean-Pierre è stata diretta: «Non abbiamo la minima idea di che cosa stia parlando».

Gli Stati uniti forniscono, infatti, assistenza militare a Israele per 3,8 miliardi annui. In più ad aprile Biden ha firmato una legge che stanzia altri 17 miliardi di dollari all’alleato in Medio Oriente. Dal 7 ottobre a fine giugno Israele ha ricevuto dagli Stati Uniti almeno 14mila bombe da 900 chili, 6.500 bombe da 230 chili, 3milamissili Hellfire aria-superficie, mille bombe ‘bunker-buster’, 2.600 bombe di piccolo diametro sganciate dall’aria e altro ancora, secondo Reuters.

LE UNICHE ARMI che sono effettivamente state trattenute sono quelle contenute in un unico carico di bombe da 900 e 230 chili, che era stato sospeso dagli Stati Uniti a maggio. L’interruzione sarebbe stata motivata dall’effetto devastante che le armi avrebbero avuto durante l’invasione di terra di Rafah. Si tratta però di un caso isolato, non di un segmento di uno schema più ampio che ha segnato gli ultimi mesi.

Tanto è vero che, il 10 luglio, Washington ha acconsentito a riprendere le esportazioni di bombe da 230 chili, mentre non è stato riaccordato il via libera per quelle da 900 chili. Al-Jazeera riporta le dichiarazioni di un ufficiale statunitense – che rimane anonimo – secondo cui le bombe da 230 chili erano state inizialmente trattenute solo perché facevano parte dello stesso carico delle bombe più grandi: «La nostra preoccupazione più grande è stata e rimane il potenziale uso delle bombe da 900 chili a Rafah e in altre parti a Gaza».

UN PAESE che invece sembra forse avere mezzi ripensamenti sulla moralità di finanziare il genocidio contro i palestinesi di Gaza è il Regno unito.Fonti all’interno del partito laburista hanno rivelato a Middle East Eye (Mee) che nei prossimi giorni il governo del neoeletto Keir Starmer implementerà delle restrizioni sulla vendita di armi a Tel Aviv. Le esportazioni non saranno tuttavia sospese nella loro interezza.

Il segretario di stato per gli affari esteri David Lammy ha giustificato la natura parziale dell’interruzione con gli attacchi sferrati a Israele da Houthi, Hezbollah e Hamas, dicendo che «non sarebbe giusto avere un divieto completo fra i nostri due paesi». Secondo Mee, Lammy ha dato a intendere che le limitazioni saranno probabilmente imposte sulle armi offensive che potrebbero essere usate a Gaza.