Hezbollah tra malcontento e nuovi combattenti
Medio Oriente Intervista alla ricercatrice Erminia Chiara Calabrese: «Il prezzo della "guerra in aria" di Israele la paga di più la comunità sciita. Ma massacri e crisi tendono a rafforzare l’adesione a un partito e a creare nuove generazioni di militanti»
Medio Oriente Intervista alla ricercatrice Erminia Chiara Calabrese: «Il prezzo della "guerra in aria" di Israele la paga di più la comunità sciita. Ma massacri e crisi tendono a rafforzare l’adesione a un partito e a creare nuove generazioni di militanti»
Notte e giorno, senza tregua. Così cadono le bombe su Beirut e sul Libano. A ripetizione ieri su Dahieh, periferia a sud di Beirut, sul sud e l’est del paese. Hezbollah ha rivendicato una serie di lanci sul nord di Israele. Sono 21 le persone uccise in Libano ieri. Il bilancio del ministero della salute è di 3.386 uccisi e 14.417 feriti dall’8 ottobre 2023.
Circa 200 tra medici, paramedici e soccorritori uccisi. Ieri in una nota Unifil ha diffuso la notizia che una sua unità operativa ha risposto al fuoco di persone non identificate a Qallawiyah. Nessun morto o ferito.
Le dichiarazioni fuorvianti dei ministri israeliani di questi giorni su un possibile cessate il fuoco confondono ogni tentativo di previsione. «Siamo a un punto dove è più vicino un accordo (con Hezbollah), dall’inizio della guerra a oggi» ha dichiarato ieri il ministro dell’energia Eli Cohen. Qualche giorno prima il neo ministro della difesa Israel Katz era stato categorico: «Non ci sarà alcun cessate il fuoco con Hezbollah» e il portavoce di Hezbollah, Mohammad Afif, aveva smentito ogni notizia di un tavolo di trattativa per una tregua.
Ne abbiamo parlato con Erminia Chiara Calabrese, ricercatrice all’Ifpo (Istituto francese del Vicino Oriente) di Beirut, sociologa, autrice, specializzata su Hezbollah, da molti anni a Beirut.
Il momento peggiore per Hezbollah è stato l’attentato dei cercapersone/walkie talkie: ne ha mostrato la fragilità, le infiltrazioni nel partito. E poi l’uccisione di Nasrallah e la decimazione della catena di comando. Cosa succede dentro Hezbollah in questo momento? Qual è il suo stato di salute?
L’attentato ha spezzato la catena di trasmissione di Hezbollah e nel corso della guerra ciò ha avuto delle implicazioni notevoli sulla comunicazione interna. Ha fatto anche molti feriti tra i combattenti, molti hanno perso la vista. Quella con Israele è una guerra asimmetrica: da un lato un esercito tecnologicamente avanzatissimo, dall’altro una partito politico religioso armato che usa tecniche di guerriglia. Israele qui in Libano non combatte, uccide. La guerra si fa «in aria», non si combatte sul terreno. Nel sud, Israele non è riuscito ancora a occupare stabilmente un solo villaggio e viene respinto da Hezbollah, che continua a presidiare il territorio, nonostante Israele colpisca i passaggi che, attraverso la Siria, favoriscono i rifornimenti. I combattenti sul terreno tengono. Per quello che riguarda il partito, è difficile in guerra stabilirne la popolarità. La sua più grande preoccupazione sono gli sfollati che non ha potuto prendere completamente in carica. A questo livello un certo malcontento esiste, come esiste verso l’Iran, che per la base non sta facendo abbastanza. Bisogna comunque aspettare di vedere cosa Hezbollah e Iran faranno una volta finita la guerra in termini di ricostruzione e sussidi.
C’è un tentativo israeliano di ridimensionamento di Hezbollah. In che misura è possibile?
Hezbollah è il più grande partito libanese. Chi paga il prezzo più alto in questo momento, per la tipologia di «guerra in aria» che si sta combattendo, è la base del partito e in generale tutta la comunità sciita, vista come affiliata o vicina a Hezbollah. La sociologia della violenza politica ha mostrato come fenomeni del genere – guerre, massacri, crisi – tendano a rafforzare l’adesione a un partito e a creare nuove generazioni di combattenti. Il ridimensionamento di Hezbollah è una narrativa che Israele porta avanti per ragioni propagandistiche. Chiunque conosca il Libano e Hezbollah sa che l’obiettivo non è facilmente raggiungibile. Anche questo dipenderà dalla gestione della fase successiva al conflitto.
Qual è il posizionamento degli altri partiti libanesi sulla guerra?
Bisogna distinguere tra la condanna trasversale di quello che Israele sta facendo a Gaza e su quello che è il fronte libanese. L’apertura di quest’ultimo viene criticata pubblicamente dai partiti del Kataeb e delle Forze libanesi, destra nazionalista cristiana, mentre gli altri attori o sostengono Hezbollah o non si pronunciano. È interessante vedere come la comunità sunnita libanese abbia aperto verso Hezbollah, percepito come unico baluardo della lotta per la Palestina. Si mantiene, in ogni caso, un decoro istituzionale dovuto al momento. Mi viene in mente una dichiarazione di Charles Jabbur, portaparola delle Forze libanesi, dopo l’attentato dei cercapersone: «In un momento in cui soffrono tanti libanesi, le nostre opposizioni politiche devono essere messe da parte».
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