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Netanyahu, vattene: in piazza per gli ostaggi dimenticati

Netanyahu, vattene: in piazza per gli ostaggi dimenticatiTel Aviv, la protesta contro il governo Netanyahu – Ap/Ilia Yefimovich

Israele Protesta a Tel Aviv. Presidi, cartelli e preghiere: in tanti si ritrovano in una città spettrale contro il governo «senza leader». Tra negoziato e reazione militare: «L’approccio dell’esecutivo è solo la vendetta»

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 17 ottobre 2023

Uno zampillo colorato dopo l’altro, l’acqua della fontana di piazza dell’Opera rischiara la notte deserta di Tel Aviv. A Gaza da una settimana le condutture sono a secco e solo ieri le autorità israeliane hanno deciso di riaprire i rubinetti, ma solo nel sud della Striscia.

Si sono diffuse notizie di disperati che bevono l’acqua del mare. Lo stesso mare che è davanti a noi, placido, contornato da bandiere israeliane incrociate in alto sui lampioni.

A GAZA non c’è la corrente elettrica e i lampioni scampati ai bombardamenti sono solo simulacri di modernità. Qui ogni tanto un fattorino delle ditte di consegne online si ferma di fronte all’alimentari della piazza, uno dei pochi ancora aperti, con il caratteristico zaino cubico colorato e carica cibo e bevande.

Inutile dire che a Gaza mangiare è un miracolo. A pochi metri da noi dei ragazzi bevono birra. «Mi dispiace che siete capitati in questo periodo, ma c’è la guerra», dice il commesso per spiegare come mai non si trovano bar aperti nonostante non sia tardi.

Eppure la guerra non c’è ancora, si prepara. C’è un assedio sanguinario, come ha spiegato chiaramente il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant, qualche giorno fa. Ci sono sirene che suonano tutti i giorni, per periodi molto brevi e a ridosso delle esplosioni.

Queste riempiono l’aria con grossi boati, è il famoso Iron Dome in azione, il sistema di contraerea israeliano che teoricamente non lascia passare nulla, ma nella pratica ha fallito quando serviva di più. Un’esplosione improvvisa coglie tutti di sorpresa a Kaplan Street.

I manifestanti si rifugiano dietro l’edificio che ospita un minimarket aperto tutta la notte. Sul marciapiede rimane Eric in mezzo alle bandiere con la faccia del primo ministro sbarrata e vari cartelli che chiedono di riportare gli ostaggi «a casa».

«LO VEDI – dice stizzito un coetaneo di Eric – Che cavolo pago a fare tutte queste tasse se non sono in grado neanche di suonare una sirena?». È tra i più arrabbiati qui, da una settimana viene ogni giorno di fronte al complesso che ospita alcune strutture della Difesa, compresa la direzione del ministero, e sventola una bandiera israeliana in una mano e un cartello «Bibi go home» nell’altra.

Sul muro del complesso i manifestanti hanno attaccato le foto dei rapiti, appelli alla comunità internazionale, diversi cartelli che chiedono le dimissioni del governo e preghiere varie. «Netanyahu vattene», in quest’angolo di strada lo dicono tutti.

Una ragazza molto giovane con la stessa scritta sul retro di un cartone della pizza allunga il braccio verso la carreggiata. Tra le corsie un furgone da lavoro rallenta e un ragazzo si sporge dal finestrino insultando tutti. «Crede che siamo di sinistra», dice Eric.

Le proteste contro la riforma della giustizia voluta da Netanyahu hanno lasciato un segno nella popolazione israeliana. Una spaccatura profonda che ha contrapposto due fazioni.

«Molti di loro pensano che siamo traditori, l’altra sera uno mi ha rincorso per strada fino a casa perché avevo il cartello», continua. «Dicono che ora bisogna essere uniti e che le proteste sono un’offesa ai nostri morti – sospira – ma sono perlopiù gente senza istruzione, spesso delle aree rurali».

ANCHE QUI, la distinzione elettorale più sentita degli ultimi anni: le città progressiste contro la provincia retrograda e conservatrice. «Netanyahu parla a loro perché gli sono rimasti solo loro», conclude.

Alla ragazza con il cartone della pizza chiediamo perché manifesta. «Perché è lui al comando, era lui il capo quando tutto ciò è successo, è sua la responsabilità».

Dall’altro lato della strada, sotto i manifesti attaccati al muro, passa un anziano disabile sulla sedia a rotelle elettrica, anche lui con un cartello. Parla a fatica e contorce il collo in continuazione ma i suoi pensieri sono granitici: «Deve andarsene perché è un criminale, non ha intenzione di negoziare per la vita degli ostaggi. Cerca vendetta, ma la vendetta non risolve i problemi, ne crea invece».

Quindi quale sarebbe la cosa giusta da fare? «Non lo so, ma so cosa non è giusto fare. Perciò abbiamo bisogno di un leader e Netanyahu non è un leader». Chiediamo se è d’accordo con l’operazione militare a Gaza. «L’operazione è l’operazione e il negoziato è un’altra cosa. Le due non si contraddicono, o meglio non dovrebbero. Ma il suo approccio, fin dal primo giorno, è stato vendicarsi».

Quindi la priorità ora dovrebbe essere negoziare? «Dividere il contesto in bianco e nero non aiuta, bisognerebbe guardarlo da ogni punto di vista e compiere qualsiasi passo necessario».

AL SEMAFORO una signora con la faccia sconsolata e il cartello «Riportate la mia gente a casa». «Combatteremo finché non sapremo per certo che sono morti. E anche quando lo sapremo combatteremo per farci riportare i loro corpi e seppellirli qui». Il governo sta agendo bene? «Non lo so ma voglio che sappiano che la prima cosa che vogliamo è riavere gli ostaggi indietro».

Sul marciapiede di fronte Yahir spiega che ci sono due motivi per protestare oggi in Israele: per la liberazione degli ostaggi e contro il governo. Ma non è la stessa protesta? «No, credo che per il governo non sia il momento, io sono qui solo per gli ostaggi».

Chiediamo se ha paura di passare per traditore. Dopo qualche giro di parole ammette di sì. «Tutti abbiamo qualcuno nell’esercito, spesso i figli. La gente non scende in piazza, pensa che non sia patriottico, che è un danno ai propri cari al fronte… è complicato».

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