In India un po’ di giustizia, l’Alta corte ferma le demolizioni
India Stop al programma anti-musulmano degli Stati guidati dall’ultradestra indù. In vista del voto un’altra sentenza libera Rahul Gandhi: da ieri è di nuovo deputato
India Stop al programma anti-musulmano degli Stati guidati dall’ultradestra indù. In vista del voto un’altra sentenza libera Rahul Gandhi: da ieri è di nuovo deputato
Mentre una sentenza della Corte suprema ha permesso a Rahul Gandhi di tornare a occupare il suo scranno in parlamento, un ordine dell’Alta corte del Punjab e dell’Haryana ha messo per il momento fine a un programma di demolizioni di case e negozi di musulmani nello Stato indiano dell’Haryana. Una pratica con cui le autorità degli Stati governati dal Bjp, il partito al governo del premier Narendra Modi, puniscono i supposti colpevoli di violenze comunitarie: una colpa che ricade ciclicamente sui musulmani.
La giustizia indiana sembra rimettere le cose in ordine nel marasma politico che l’India sta attraversando da che il partito ultranazionalista di Modi – primo ministro dal 2014 – regola i suoi conti con le comunità che non sono devote alla religione indù, la base su cui si articola il nazionalismo del suo Bharatiya Janata Party, partito conservatore e identitario che ha dato prova di comportamenti razzisti verso le minoranze.
LE DECISIONI dei tribunali hanno fermato ieri un’ondata di distruzioni che, secondo Al Jazeera, avrebbe demolito almeno 300 tra negozi e abitazioni cui hanno fatto seguito oltre 150 arresti. Fonti ufficiali non hanno per ora dato numeri rispetto agli effetti della cosiddetta «vendetta dei bulldozer».
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Proteste islamiche, l’India manda i bulldozerLe demolizioni, iniziate giovedì scorso nel distretto di Nuh (Haryana), seguono agli incidenti dell’ultima notte di luglio quando ultranazionalisti indù hanno dato fuoco alla moschea di Gurugram (Gurgaon), città a maggioranza indù vicino a New Delhi, dove hanno ucciso il naib (vice imam) Mohammad Saad di 22 anni che vi si trovava all’interno. Un attacco a poche ore dalle prime violenze comunitarie scoppiate nel vicino distretto di Nuh.
Secondo le ricostruzioni ancora oggetto di indagine, gli scontri sono iniziati dopo che un corteo organizzato dal noto gruppo indù di estrema destra Vishwa Hindu Parishad (Vhp) e dalla sua ala giovanile – Bajrang Dal – hanno raggiunto il distretto a maggioranza musulmana di Nuh a circa 85 km dalla capitale e poco più a Sud di Gurugram.
I due gruppi hanno affermato di essere stati oggetto di una sassaiola che avrebbe infiammato gli animi in una zona dove i musulmani sono quasi l’80% dei 280mila residenti dell’area. A quel punto la catena di violenze sarebbe arrivata fino a Gurugram, la città di 180mila residenti del distretto omonimo più a nord.
Ieri però il diritto sembra aver avuto ragione di una pratica che si pensava tradizione solo del peggior modo di operare degli israeliani. La campagna di demolizione lanciata dall’amministrazione distrettuale nell’area di Nuh è stata interrotta su mandato del vice commissario del distretto, Dhirendra Khadgata, che ha reso esecutivi gli ordini giudiziari.
Nel caso di Gandhi è stata invece la Corte suprema a prendere posizione su una condanna a due anni inflitta al parlamentare di opposizione del Partito del Congresso da un tribunale del Gujarat nel marzo scorso: Rahul era stato condannato a due anni dopo l’esposto di Purnesh Modi, deputato del Bjp in Gujarat, sui commenti che Gandhi aveva fatto nel 2019 quando si era pubblicamente chiesto perché «tutti i ladri hanno come cognome Modi».
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Elezioni in vista, Modi si sbarazza di Gandhi: condanna a due anniGANDHI AVEVA PERSO anche l’appello ma il 4 agosto la Corte suprema ha stabilito che non vi erano motivi sufficienti per condannarlo. Ieri è così riapparso in parlamento (da cui era decaduto come deputato in seguito alla condanna) tra le ovazioni. È di fatto il maggior leader dell’opposizione e correva il rischio di non potersi candidare alle prossime elezioni.
Il clima in India si è fatto sempre più teso in seguito a una serie di leggi e di azioni (come le demolizioni) promosse dall’ultradestra indù. Tra le tante controverse decisioni quella che il 5 agosto 2019 ha revocato gli Articoli 370 e 35A della Costituzione che riconoscevano allo Stato di Jammu e Kashmir (J&K) – a maggioranza musulmana e conteso col Pakistan – un’ampia autonomia.
Cessava di essere «Stato» per diventare «Territorio dell’Unione» amministrato da Delhi. L’abrogazione ha fatto decadere anche la norma che vietava ai non kashmiri di acquisire proprietà nel J&K.
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