L’onda nera c’è stata, ma meno omogenea e pervasiva di quanto si potesse attendere. In Scandinavia si è decisamente arrestata e perfino nell’Est europeo non ha dilagato come era ragionevole temere. Anche l’astensione, ovverosia la sfiducia nell’esistenza stessa di una prospettiva politica europea, si è manifestata nei diversi paesi in proporzioni molto differenti. Resta però il fatto che il peso delle destre estreme è aumentato in tutto il continente e non è facile mettere a fuoco i fattori che sottendono questo fenomeno a partire da quel progressivo esaurirsi del “dopoguerra”, delle mentalità, del senso comune e dell’organizzazione sociale ed economica che ne hanno caratterizzato la storia.

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Ma dove l’onda nera ha assunto la potenza di uno Tsunami, dove il “dopoguerra” sembra essersi più bruscamente interrotto, è proprio in quello che fu il pilastro portante dell’Unione europea: l’asse franco-tedesco. Il principale garante della pace e della cooperazione in Europa. In Francia e in Germania l’esito elettorale ha scosso le fondamenta dell’assetto politico, seppure diverse sono state le reazioni a Parigi e Berlino.

L’azzardo di un Emmanuel Macron sempre più avventurista che chiede elezioni politiche anticipate in Francia.

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La prudente flemma del Cancelliere Scholz, che non sembra trarre particolari conseguenze politiche dalla rovinosa frana del suo partito e da quella ancor peggiore dei suoi alleati Verdi. Il governo di Spd, Fdp e Grünen non disporrebbe più di una maggioranza nell’elettorato tedesco. La rincorsa a destra sui temi dell’immigrazione e del disarmo, la marcia indietro sulla politica climatica non hanno arginato l’emorragia del centrosinistra che, nel caso dei Grünen, si è tradotta in una implicita condanna per alto tradimento che ha dimezzato l’elettorato verde. Senza per questo aver acquisito voti moderati.

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Sul versante opposto la paura dell’estrema destra si è molto indebolita, nonostante i ripetuti episodi di conclamato razzismo fascista che hanno coinvolto esponenti dell’Afd, mentre il conservatorismo della Cdu-Csu continua a riscuotere un solido consenso. La sua maggioranza, in lieve crescita, si avvale di una moderazione sempre più fittizia accompagnata dalla promessa, di sapore trumpiano, di restaurare la potenza della Germania senza più circoscriverla all’ambito economico, come imponeva l’assetto del “dopoguerra”. Ma è proprio questo assetto che molti tedeschi e una buona percentuale delle giovani generazioni vivono con crescente insofferenza. Tanto più che quella Germania, governata dall’equilibrio tra i partiti popolari di massa, tra grandi imprese e forti sindacati, garante di crescita, benessere e solide prospettive si è trasformata in una realtà sempre più statica, minata da elementi di crisi e avara di promesse per il futuro. Restare un gigante economico, senza una equivalente forza politica è impresa sempre più difficile nel contesto di una globalizzazione disarmonica e conflittuale come quella che segna il tempo presente. E le destre tedesche puntano proprio su questo problema offrendone soluzioni nazionaliste. Ma la forza politica avrebbe potuto e dovuto essere quella comune europea se la tentazione nazionale non avesse avuto la meglio, a varie gradazioni di intensità, anche nella sinistra. E se l’Europa si fosse evoluta per tempo verso una dimensione politica, invece di limitarsi (rendendosi spesso odiosa) alla cura del mercato e alla regolazione finanziaria.

Quanto a presunzione nazionale la Francia non ha niente da invidiare a Berlino, anzi. E anche qui stabilità e continuità del centrismo repubblicano si danno come stagnazione. Per decenni il centrismo si è avvalso dell’appoggio in ultima istanza della sinistra per fermare l’avanzata della destra: prima del ruvidamente fascista Jean Marie, in seguito della più abile e suadente Marine Le Pen. Per poi condurre politiche sempre più reazionarie sull’immigrazione e sul controllo sociale, praticando un arrogante decisionismo statalista e padronale votato allo scontro frontale e prolungato con diverse forze sociali. Questo gioco è finito, come si poteva prevedere, assai malamente. Nel paese l’estrema destra è maggioranza con il suo mito della «Francia autentica» reso ormai digeribile anche per la borghesia benpensante. A sinistra, con un riflesso quasi pavloviano, si invoca il fronte popolare che nessuno sa bene cosa possa essere oggi. Ci sono solo un paio di settimane per chiarirlo.

Dunque è nei paesi forti, nel suo centro di gravità permanente, che l’Unione europea subisce la lesione più grave e profonda. Le conseguenze sono ancora tutte da esaminare. E, quando ci sono in ballo le nazioni, se si chiude un “dopoguerra” facilmente si transita nell’“anteguerra”.