Il referendum contro la «Buona Scuola» non si farà, una sconfitta per tutti
Movimenti Non sono state raggiunte le 500mila firme necessarie per chiedere il referendum abrogativo dei quattro punti più controversi della riforma della scuola di Renzi e del Pd. Le ragioni di una sconfitta che lascia nel caos un mondo offeso dall’arroganza dei riformatori vecchi e nuovi
Movimenti Non sono state raggiunte le 500mila firme necessarie per chiedere il referendum abrogativo dei quattro punti più controversi della riforma della scuola di Renzi e del Pd. Le ragioni di una sconfitta che lascia nel caos un mondo offeso dall’arroganza dei riformatori vecchi e nuovi
Non si farà il referendum contro la «Buona Scuola». Il responso della Corte di Cassazione era atteso: i promotori dell’ultimo atto di resistenza contro la riforma schiacciasassi di Renzi e del Pd lo temevano sin dal giorno della consegna delle firme. La Corte ha ufficializzato il già parzialmente noto: non sono state raccolte le 500 mila firme necessarie per ciascuno dei quattro quesiti presentati: abolizione dello «school bonus», dell’alternanza scuola-lavoro, del preside-manager e della valutazione del merito. Finisce così la fase postuma della non brillantissima stagione di opposizione alla «Buona scuola. Era nata sotto i migliori auspici con uno sciopero generale contro il governo, mentre il parlamento approvava la legge 107 «Renzi-Giannini». Un movimento spontaneo dei docenti spinse i sindacati alla mobilitazione dopo mesi di blocco.
Dopo l’approvazione il fronte si è disunito. Pippo Civati lanciò una fallimentare raccolta firme durante l’estate 2015: circa 300 mila quelle raccolte. I sindacati, le associazioni, gli studenti preferirono non partecipare alla raccolta, rinviandola di un anno per approfondire i profili giuridici dei quesiti. Una decisione che ha perso il tempo della politica, mentre la riforma renziana è entrata in circolo, amplificando a dismisura la sensazione di rassegnazione e sconfitta. Lo sfaldamento del fronte dell’opposizione, prima, e oggi il fallimento della raccolta firme (alla consegna era stato detto che erano 515 mila a quesito) è politicamente devastante sia rispetto alla possibilità di recuperare un’iniziativa generale nella scuola, sia rispetto alla credibilità del pensiero critico in un’opinione pubblica intossicata dagli slogan governativi.
L’ostilità alla riforma resta comunque altissima. Il 5 ottobre scorso la Gilda ha diffuso i risultati di un sondaggio Swg: 4 insegnanti su 5 respingono la riforma, 2 su 3 criticano la figura del «preside manager». Solo il 5% dei docenti è favorevole alla chiamata diretta, totem del renzismo manageriale all’opera. La sconfitta, perché di questo si tratta, rivela l’inadeguatezza e la frammentarietà dell’opposizione politica e sindacale che si affida ai referendum per superare le proprie debolezze. E lascia nel caos un mondo ferito e offeso dall’arroganza dei riformatori vecchi e nuovi.
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