I trentatré giorni passati da Lucia Azzolina (Cinque Stelle) al ministero dell’Istruzione, spacchettato da quello dell’Università dopo la commedia delle dimissioni di Lorenzo Fioramonti (Cinque Stelle), sono stati da record. Ha provocato una profonda rottura con i sindacati della scuola Flc Cgil, Cisl e Uil scuola, Snals e Gilda tale da spingerli a dichiarare uno «sciopero per i precari» martedì 17 marzo. Le stesse organizzazioni ipotizzano una data più ravvicinata di mobilitazione e anche una stagione di proteste fino alla legge di bilancio per ottenere fondi veri per la scuola e aumentare gli stipendi più bassi d’Europa.

QUESTO INIZIO difficile di mandato è singolare se considerato alla luce di una rinnovata stagione di confronto sindacale, perlomeno sulle pensioni e sul taglio del cuneo fiscale, che vede impegnato il governo «Conte 2», di cui Azzolina fa parte, insieme a uno schieramento ampio di sindacati. Di tutto ha bisogno un governo in stato confusionale, fragile e tendenzialmente paralizzato dal gioco dei veti interni tra alleati tranne di una conflittualità nel settore più ampio del pubblico impiego. E proprio nei giorni in cui la ministra della Pubblica amministrazione Fabiana Dadone cerca un confronto sul contratto con i sindacati di categoria. Con Azzolina, invece, nella scuola si sciopera. Come al tempo della «Buona Scuola» di Renzi cinque anni fa, l’ultima volta che tutti i sindacati sono scesi in piazza insieme contro una «riforma» invisa.

IN UNA CONFERENZA stampa congiunta organizzata ieri a Roma abbiamo ascoltato parole inedite da sindacalisti di solito abituati ai mezzi toni. Azzolina è stata accusata di «bullismo ministeriale», in quanto autrice di «attacchi virulenti». Non accadeva dai tempi di Gelmini o di Renzi. È stata così tratteggiata la figura di una ministra incendiaria: «Se la scuola brucia, buttiamo acqua sul fuoco o decidiamo di buttare benzina?». La rottura, tanto violenta quanto inaspettata, è maturata a causa dell’opposizione di Azzolina a gran parte dei punti della piattaforma elaborata nel corso di un lungo confronto che ha portato all’intesa del 23 aprile scorso siglata dai sindacati con Giuseppe Conte che allora presiedeva il governo legastellato. L’accordo costò uno sciopero generale indetto prima delle elezioni europee del 2019 e poi ritirato. Dieci mesi, e tre ministri dopo, i sindacati si sono trovati con un pugno di mosche in mano. E con una neo-ministra che li ha accusati di volere «sapere in anticipo le domande dei quiz del concorso, ma quella non è merce di scambio».

IL CONCORSO in questione è riservato a 24 mila precari da più di 36 mesi di cui presto dovrebbero arrivare i bandi, insieme a quelli del concorso per l’infanzia e primaria e quello ordinario per la secondaria, in totale 70 mila posti. In realtà i sindacati non hanno chiesto «merci di scambio», ma di ridurre il numero dei quiz (80) e aumentare il tempo a disposizione (80 minuti), sottolineando che le sorti di un simile concorso non possono dipendere da una logica dettata dalla brutale volontà di tagliare i costi della selezione, ma dalla preparazione effettiva dei candidati. Un dettaglio, certo importante, ma che tale resta rispetto alla complessità di una trattativa condotta sia con il leghista Bussetti che con Fioramonti. Tuttavia è diventato l’oggetto strumentale di una campagna basata sul luogo comune dei sindacati contrari alla «meritocrazia». Più che contrari, sono subalterni all’ideologia dei dominanti.

IL PROBLEMA oggi è anche un altro: in mancanza di una politica per risolvere il precariato in maniera strutturale, si vogliono usare i quiz per decimare i precari che parteciperanno al concorso. Accade sempre, non sarà diverso in questo. Nello scontro rischiano di passare in secondo piano i problemi di un concorso definito «ammazza precari» dai precari autorganizzati e dai sindacati di base Adl Cobas, Cub-Sur, Sgb, Usi-Cit che domani hanno chiamato uno sciopero generale. Alle 170 mila cattedre scoperte quest’anno, altre se ne aggiungeranno con i nuovi pensionamenti. Comunque vada a settembre la scuola avrà bisogno dei precari. Alla richiesta di Flc Cgil, Cisl e Uil scuola, Snals e Gilda di affrontare il problema delle abilitazioni, uno dei modi per pensare a una soluzione, la ministra ha opposto un altro «No». Oltre all’esclusione degli insegnanti sul sostegno dai concorsi questo è stato un altro motivo che ha spinto i sindacati a rompere il tavolo e considerarlo buono per i falegnami.

LA SITUAZIONE resta fluida in attesa del parere del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione sui bandi del concorso. E se nel frattempo Conte, o qualche istanza superiore del governo o della maggioranza, provvederanno alla ricomposizione del dissidio con Azzolina, com’è già avvenuto l’anno scorso? «Firme non ne mettiamo senza atti concreti» ci è stato risposto. In realtà nemmeno il protocollo di palazzo Chigi conteneva norme chiare, ma solo promesse, come quella dell’aumento «a tre cifre» per gli stipendi che oggi qualcuno vorrebbe dimezzare approfittando dei denari provenienti dal taglio del cuneo fiscale. «Se lo possono scordare. Bisogna discutere del contratto che riconosce il valore del lavoro, non lo scambieremo con il cuneo fiscale che è bene che ci sia- ci è stato risposto – È caduto un governo, non possiamo caricarci delle contraddizioni della controparte. Va ricordato che i concorsi non ci sarebbero stati senza quell’intesa. Ma oggi siamo arrivati al limite».