Al tavolo della maggioranza Pd-Cinque Stelle- Italia Viva e LeU organizzato ieri a Palazzo Chigi sono emerse due proposte: aumentare l’’obbligo scolastico da 3 a 18 anni e pagare meno i docenti facendo un gioco delle tre carte sugli stipendi. Secondo i propositi fatti trapelare ieri dalla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina sarebbe intenzione del governo usare i 68 euro previsti dal taglio del cuneo fiscale destinato dai docenti della scuola come una parte sostanziale dell’aumento di 100 euro più volte promesso ai sindacati nel corso di questa legislatura. Il resto doverebbe arrivare dalle risorse stanziate in legge di bilancio per il rinnovo del contratto del settore più grande del pubblico impiego in Italia. Sempre che il ministero dell’Economia guidato da Roberto Gualtieri confermi le risorse superstiti fino alla fine dell’anno 2020. Ipotesi non proprio scontata, oggi. La proposta è benzina sul fuoco già acceso dalla rottura delle relazioni sindacali tra la ministra pentastellata Azzolina e i sindacati Flc Cgil, Cisl e Uil scuola, Gilda e Snals che hanno organizzato uno «sciopero per i precari» il prossimo sei marzo e annunciano un lungo percorso di mobilitazione generale del personale scolastico per riaprire la partita del contratto e degli aumenti per gli stipendi più bassi d’Europa. Il 17 marzo ha confermato lo sciopero l’Unicobas.

Ad avere accusato il governo di un «gioco delle tre carte» è stato ieri Pino Turi della Uil scuola. «La proposta di aumenti dello stipendio attraverso il taglio del cuneo fiscale non sta in piedi – ha detto Turi – Non si può contrabbandare la riduzione delle tasse con l’aumento degli stipendi. Non sarà la ministra Azzolina a dare la risposta, ma l’intero governo. Parlano di una scelta strategica di investire sulla scuola, potrà mai essere realizzata con investimenti a costo zero?». Domanda ancora più legittima se si intende aumentare il numero dei docenti per coprire l’ipotizzato aumento dell’età dell’obbligo per l’istruzione. Li si vuole fare lavorare di più con un salario solo per meno della metà derivante dal contratto e, per il resto, da politiche fiscali che oggi ci sono, domani forse no.

Altro motivo di incertezza è uno dei residui avanzanti dalla cosiddetta «Buona scuola» di Renzi e del Pd: la chiamata diretta dei docenti da parte dei presidi. L’esame del disegno di legge è fermo alla Camera, dove è in corso di esame da parte della Commissione Cultura. «Chiamata diretta e ambiti territoriali sono misure incostituzionali incompatibili con il dettato dell’articolo 33 della Costituzione» ha detto la prima firmataria del ddl Bianca Granato (M5S). Cinque Stelle e LeU la vorrebbero eliminare, Pd e Iv no. Un altro ostacolo, potenzialmente esplosivo, per la tenuta del governo.