La continuazione del massacro di Gaza, l’assassinio di Razi Mousavi a Damasco, l’attentato contro Saleh al-Arouri a Beirut e l’attacco in Iraq alle Forze di mobilitazione popolare (Hashed al-Shaabi) sostenute da Teheran, stanno creando una situazione scomoda per la Repubblica islamica, che si vede costretta a reagire per mantenere il suo prestigio.

Il presidente Raisi intervenendo ai funerali delle vittime dell’attentato terroristico del 3 gennaio, è stato chiaro: «La decisione di reagire – ha detto – spetta alle forze armate, che determineranno il momento e il luogo appropriati». Nonostante la rivendicazione da parte dell’Isis, l’identificazione di due attentatori e l’arresto di 9 persone, le autorità continuano ad accusare Israele di essere dietro l’attentato.

Finora, i segnali indicano che gli iraniani vogliono evitare l’espansione della guerra, nonostante la retorica aggressiva degli ultraconservatori. Dopo gli attacchi del 7 ottobre, il leader supremo Ali Khamenei ha negato categoricamente la partecipazione dell’Iran alla pianificazione e all’esecuzione degli attacchi. E ha dichiarato che l’Iran non entrerà in guerra per conto di Hamas, criticando l’organizzazione palestinese per un attacco considerato un errore strategico che ha portato al ridispiegamento di una grande forza americana in Medio Oriente.

Le milizie in Yemen, Iraq, Bahrein, Siria, Palestina e Libano mantengono un grado sufficiente di indipendenza operativa. Questi attori hanno i propri calcoli e preferenze locali, che sono per lo più in linea con gli obiettivi strategici dell’Iran. Anche se Teheran afferma di non esercitare uno stretto controllo sui membri della cosiddetta Asse della Resistenza, è evidente che le milizie hanno evitato finora di intensificare le loro azioni per non coinvolgere direttamente il loro protettore.

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Molti osservatori e diplomatici iraniani vedono però in queste azioni il tentativo israeliano di trascinare Teheran in una guerra più ampia. Mahan Nowrozpour, ex-ambasciatore iraniano in Unione sovietica, ha affermato: «A differenza degli Stati uniti, che cercano di evitare l’espansione delle ostilità e, soprattutto, di coinvolgere l’Iran, Israele cerca di trascinare Usa e Iran nel conflitto perché vede in questo la sua salvezza».

Ahmad Zeidabadi, analista politico iraniano, ha scritto in una nota: «Lo scontro militare tra gli Stati Uniti e le milizie alleate si è esteso contro le forze iraniane nella Siria orientale. Questa situazione aumenta il rischio di uno scontro militare diretto tra Iran e Stati Uniti attraverso l’emergere di una catena di attacchi di ritorsione reciproci. La politica della Repubblica Islamica è quella di evitare il conflitto con l’America, tanto che personalità ufficiali e influenti considerano tutto ciò come un “piano di Israele” per trascinare Teheran nel conflitto».

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È evidente che ci sono componenti del governo israeliano, incluso il ministro della Difesa Gallant, che desiderano punire in modo più deciso Hezbollah per gli attacchi lungo il confine. In modo più ambizioso, vedono anche l’opportunità di neutralizzare una volta per tutte la minaccia al confine settentrionale di Israele. Molti alti ufficiali israeliani ritengono che una guerra nel nord sia inevitabile, aumentando così la probabilità di un attacco massiccio israeliano.

In questo caso, è difficile immaginare una reazione moderata da parte dell’Iran che ha interesse a preservare il deterrente strategico di Hezbollah contro un attacco israeliano al suo programma nucleare. Teheran preferirebbe non vedere il suo alleato libanese indebolirsi a seguito di uno scontro con Israele. E un coinvolgimento iraniano in sostegno di Hezbollah quasi certamente comporterebbe anche un impegno diretto da parte degli Stati Uniti.

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Il primo ministro Netanyahu ha passato gli ultimi tre decenni lanciando l’allarme sul programma nucleare iraniano e minacciando un possibile attacco all’Iran in numerose occasioni. Ora Netanyahu potrebbe utilizzare il sostegno dei paesi alleati per dare seguito alle sue minacce e avere in mente qualcosa di molto diverso per il coinvolgimento statunitense, che va oltre la deterrenza militare. Potrebbe cercare di ampliare la portata del conflitto per includere l’Iran.

Il coinvolgimento diretto dell’Iran nella guerra, sia per sua decisione sia per la scelta di Israele di colpire l’Iran, è uno scenario da incubo che segnerebbe la trasformazione dell’attuale conflitto in una conflagrazione regionale.