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«Duplice uso», sopravvivenza vietata agli abitanti di Gaza

«Duplice uso», sopravvivenza vietata agli abitanti di Gaza

Striscia Gallant stupisce gli alleati di destra parlando del day after di Gaza: a guida palestinese

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 6 gennaio 2024
Michele GiorgioGERUSALEMME

Chi ha familiarità con la storia di Gaza, da quando nel 2007 Hamas vi ha preso il potere, conoscerà l’etichetta «duplice uso». L’appiccicano gli ispettori israeliani responsabili del controllo delle merci all’ingresso di Gaza. Se un oggetto, un prodotto e molto altro a loro avviso può avere un «duplice uso», utile anche per Hamas e non solo per la popolazione, allora viene dichiarato illegale e non autorizzato ad entrare a Gaza. Nel corso degli anni sono state compilate liste di centinaia di merci proibite, dal cemento ai fertilizzanti, da piccoli utensili fino a macchinari per l’industria. Per un po’ di tempo è girata la voce che persino la macchinetta del caffè italiana fosse vietata perché si presenta come un contenitore per ordigni improvvisati, ma non è mai stato confermato. Il «duplice uso» è una politica sempre valida per gli ispettori israeliani, anche di fronte alla crisi umanitaria gravissima che si è abbattuta sui civili di Gaza con l’inizio dell’offensiva israeliana.

Pare che i depuratori d’acqua, alcune forniture mediche e i paletti delle tende destinati agli sfollati, siano tra gli oggetti a cui Israele impedirebbe di entrare a Gaza con i camion degli aiuti, secondo la Mezzaluna Rossa egiziana che opera nei pressi del valico di Rafah. Un documento dell’organizzazione sanitaria, che risale a metà dicembre, afferma che 1.200 depuratori d’acqua, 100 bombole di ossigeno, un generatore autonomo di ossigeno, 1.000 pannelli solari, 24 generatori di corrente e 418 forniture mediche sono state bloccate dall’inizio della guerra. Nega tutto il Cogat, l’agenzia del ministero della Difesa israeliano che si occupa degli affari civili nei Territori occupati. Eppure, la deputata spagnola Soraya Rodriguez e il suo collega irlandese Barry Andrews, hanno appreso durante la loro breve visita a Gaza che in alcuni casi i paletti delle tende per gli sfollati sono stati esclusi dagli ispettori israeliani, perché utilizzabili anche dai combattenti di Hamas. Per cosa? Non si è capito. Magari qualche ministro israeliano pensa che la loro mancanza e l’impossibilità di montare le tende, spingerà i palestinesi di Gaza verso quella «migrazione volontaria» che la destra dominatrice della politica israeliana ritiene «l’unica soluzione» nel day after, quando sarà finita la guerra. Dopo la Repubblica democratica del Congo, i giornali locali ora scrivono che anche Ciad e Ruanda in cambio di fondi e di forniture di armi sarebbero pronti ad accogliere decine di migliaia di palestinesi disposti a lasciare la loro terra. A Gaza però queste persone pronte ad assecondare i desideri israeliani nessuno le conosce.

Il day after nella Striscia, annunciato due giorni fa dal ministro della difesa Yoav Gallant, ha accesso gli animi di non pochi ministri ed esponenti della destra che si aspettavano dal premier Netanyahu decisioni mirate a riportare la Striscia sotto piena occupazione israeliana e alla ricostruzione di insediamenti coloniali. Gallant invece ha parlato di Gaza governata dai palestinesi, di un intervento combinato di Egitto, di una task-force multinazionale guidata da Usa ed Europa e di non meglio precisati amministratori locali (i capi delle famiglie più grandi e importanti di Gaza hanno già respinto l’idea). L’estrema destra ieri si è scagliata anche contro il capo di stato maggiore Herzi Halevi quando ha confermato che l’esercito è impegnato in indagini interne relative alla conduzione della guerra, fra cui l’uccisione di tre ostaggi a Gaza che erano riusciti a liberarsi. Non è piaciuto ai contestatori che le indagini siano state affidate all’ex capo di stato maggiore Shaul Mofaz.

A Gaza prosegue l’avanzata delle forze israeliane all’interno di Khan Yunis e nella zona centrale. Hamas oppone una forte resistenza e provoca perdite sebbene Israele annunci ogni giorno nuovi risultati e progressi nella distruzione delle gallerie sotterranee usate dai combattenti del movimento islamico. I dati che fornisce dicono che migliaia dei suoi militari hanno subito danni psichici e fisici durante le battaglie. Oltre 12 mila soldati rimasti feriti in combattimento avranno bisogno di assistenza per il resto della loro vita.

Anche mille bambini palestinesi avranno bisogno di aiuto per tutta la loro vita. Sono i mutilati dei bombardamenti israeliani, bambini di pochi anni. I medici per salvar loro la vita spesso hanno dovuto amputare una, talvolta tutte e due le gambe a bambini di pochi anni che dovranno subire una dozzina di interventi chirurgici quando raggiungeranno l’età adulta perché l’osso continua a crescere. Per fare un confronto tra due teatri di guerra, in Ucraina, dove i missili hanno colpito anche aree residenziali durante l’invasione russa, sono noti 30 casi di bambini amputati. La presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa, Mirjana Spoljaric, ha affermato di non poter dimenticare le immagini di questi bambini di Gaza, spesso orfani, con amputazioni multiple che giacciono negli ospedali. L’Unicef è tornata ad avvertire che almeno un milione di bambini palestinesi sono in gravi difficoltà nelle tendopoli e a rischio di malattie infettive.

L’ultimo bilancio di palestinesi uccisi da esercito e aviazione di Israele è di 22.660 morti – 162 tra giovedì e venerdì – e 57.910 feriti. Un ostaggio israeliano ieri è stato dichiarato morto dalla autorità sulla base di informazioni di intelligence e delle testimonianze di altri sequestrati.

 

 

 

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