Si spoglia nel campus, cresce la paura per la giovane iraniana
Iran Gli attivisti la cercano mentre il paese si divide tra «disturbo mentale» e protesta. Il Nobel Mohammadi: «Le donne non si piegano». Un’avvocata al manifesto: «Qualunque sia la causa, le leggi sono ingiuste»
Iran Gli attivisti la cercano mentre il paese si divide tra «disturbo mentale» e protesta. Il Nobel Mohammadi: «Le donne non si piegano». Un’avvocata al manifesto: «Qualunque sia la causa, le leggi sono ingiuste»
Tre giorni fa è apparso sui social network il video di una studentessa iraniana che si è spogliata nell’Unità di Scienza e Ricerca dell’Università Azad di Teheran. Un atto dirompente, considerando che nel paese vige l’obbligo dell’indumento islamico per le donne. Gli oppositori affermano che si sia trattato di un’azione di protesta, mentre i dirigenti dell’università sostengono che sia stata l’azione di una ragazza con un «disturbo mentale».
NEL PRIMO VIDEO, girato dalle studentesse da una finestra adiacente, si vede Ahoo Daryaei in biancheria intima, seduta nel cortile dell’università, apparentemente mentre discute con gli agenti di sicurezza. Non si notano i giovani violenti affiliati al Basij, la forza paramilitare che in passato ha represso gli studenti anche per molto meno. Mentre i servizi di sicurezza si attardano nel tentativo di intervenire, la ragazza si allontana camminando con calma.
In un secondo video, ripreso da molto lontano, si vede la ragazza continuare a camminare per strada e fare un gesto come se si togliesse gli slip. Poco dopo, viene fermata dalle forze di sicurezza e caricata su un veicolo. Nel video si sente lo stupore delle autrici del video e la loro paura quando la ragazza viene fermata.
Alcuni noti I personaggi di opposizione considerano l’azione come un «atto di protesta radicale contro l’hijab forzato». L’account Instagram di Narges Mohammadi, Nobel per la Pace detenuta in carcere a Teheran, scrive: «Le donne pagano il prezzo della sfida, ma non si piegano alla forza. Il corpo della donna che protesta all’università diventa un simbolo di ribellione e dell’intensità della rabbia».
Nel frattempo, l’agenzia di stampa studentesca, nota per le sue posizioni radicali, paragona l’atto a una «operazione terroristica». In un comunicato, il collettivo dell’università definisce l’atto come «un comportamento contrario ai costumi e alla dignità di uno studente nel cortile dell’università», «non è un luogo per comportamenti bassi e umilianti».
«SONO STATA fermata, penalizzata, maltrattata e allontanata dall’università per la mancanza di rispetto al velo diverse volte – racconta l’attivista dice Sohela al manifesto – Ho massimo rispetto e solidarietà per la ragazza, ma il suo gesto, pur essendo una protesta contro l’enorme ingiustizia che noi donne siamo costrette a sopportare, non può essere utile per la nostra causa. Un atto così travolgente allontana il pubblico moderato, solidale alla nostra causa. Noi lottiamo per avere il diritto di scelta, non per andare contro il pudore e il costume pubblico».
Immediatamente dopo la diffusione del video e la successiva notizia del ricovero di Ahoo Daryaei in una clinica psichiatrica, tra gli attivisti è sorta la preoccupazione per l’incolumità della ragazza, considerando la pessima reputazione delle forze di sicurezza della Repubblica islamica nella repressione delle giovani donne ribelli. Amir Mahjoub, direttore delle relazioni pubbliche dell’Università, ha scritto su X, riferendosi all’arresto e al trasferimento della studentessa, che si è personalmente recato alla stazione di polizia per informarsi sulle sue condizioni.
«Ci sono diverse versioni sul motivo che ha scatenato la reazione della ragazza – ci dice l’avvocata M. Amori, attivista per i diritti delle donne – Tuttavia, qualunque sia la causa, le autorità della Repubblica islamica non possono ignorare che le leggi vigenti sono profondamente ingiuste e discriminatorie verso le donne. Il dramma che le donne affrontano nel nostro paese è una cosa seria e deve essere affrontato seriamente e non diventare solo lo strumento di propaganda politica».
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