Khamenei: «Risposta devastante a Israele». Timori a Baghdad
Guerra continua Il premier iracheno Al Soudani tenta di tenere il paese a distanza dallo scontro diretto con Tel Aviv, uno sforzo che difficilmente raggiungerà l'obiettivo
Guerra continua Il premier iracheno Al Soudani tenta di tenere il paese a distanza dallo scontro diretto con Tel Aviv, uno sforzo che difficilmente raggiungerà l'obiettivo
Una settimana fa la previsione più diffusa era che Teheran avrebbe dato priorità alla moderazione dopo aver subito l’attacco israeliano. Ora la rappresaglia iraniana al raid aereo ordinato da Benyamin Netanyahu è data per sicura – «nei prossimi giorni» prevedeva ieri il Washington Post – in una escalation di attacchi tra le due parti intenzionate ad affermare la rispettiva capacità di deterrenza. Le parole pronunciate ieri dalla Guida suprema iraniana Ali Khamenei non lasciano spazio alle interpretazioni. «I nemici, siano essi il regime sionista o gli Stati uniti, riceveranno sicuramente una risposta devastante a ciò che stanno facendo all’Iran, alla nazione iraniana e al fronte della resistenza», ha detto Khamenei, precisando che non è solo una questione di «vendetta». A Teheran spiegano che la Guida suprema, dopo aver inizialmente scelto toni moderati, ha compreso che senza una risposta, la deterrenza dell’Iran contro Israele sarebbe indebolita. Khamenei non ha precisato i tempi, la portata e se la rappresaglia avrà luogo solo dal territorio iraniano o anche da altri paesi. Un punto che ha assunto un particolare rilievo negli ultimi giorni.
Teheran intende rispondere, ma è consapevole che la reazione di Tel Aviv sarà inevitabile e concentrata, con ogni probabilità, contro gli impianti petroliferi e i siti nucleari iraniani, specie se dalle presidenziali Usa del 5 novembre uscirà vincitore Donald Trump, nemico implacabile dell’Iran. L’Amministrazione Biden, si è opposta all’attacco contro le centrali atomiche dell’Iran e Netanyahu sa che con l’amico Trump rieletto presidente, sebbene non ancora alla Casa Bianca, avrà le mani più libere. Da qui, pare, la presunta idea iraniana – riferita dal sito Axios e da altre fonti – di lanciare missili balistici e droni dal territorio iracheno per preservare siti nucleari e impianti petroliferi iraniani dalla ritorsione israeliana. Concreta o improbabile, come dicono alcuni, questa ipotesi se da un lato ha mobilitato la Resistenza islamica in Iraq (Iri) – la coalizione di gruppi armati sciiti sostenuti dall’Iran, responsabile di occasionali lanci di droni verso Israele (l’ultimo è di ieri) -, dall’altro ha messo in allarme Baghdad che, come Damasco, ha cercato nell’ultimo anno di mantenere una linea di sostanziale basso profilo pur confermando l’appartenenza all’Asse della Resistenza e l’alleanza con l’Iran.
«La decisione tra guerra e pace spetta allo Stato», ha avvertito il premier iracheno Mohammed Shia Al Soudani, secondo quanto riportato dal quotidiano Asharq Al-Awsat. Portato al potere nel 2022 dal Quadro di Coordinamento, l’alleanza di partiti filoiraniani che monopolizza lo sciismo politico in Iraq, Al Soudani mantiene stretti legami con Teheran, rivolge dure accuse a Tel Aviv e appoggia il popolo palestinese. Allo stesso tempo, tra la sorpresa di molti, dopo aver preso l’incarico di primo ministro non ha fissato alcun calendario per il ritiro completo dei militari statunitensi in Iraq – richiesto con forza dalla maggioranza degli iracheni – da cerca di tenere il suo paese a distanza dallo scontro frontale tra Israele e l’Iran.
Questa posizione cauta viene criticata dalle forze sciite più militanti, ma non dalla maggior parte dello schieramento politico al governo in Iraq. Hanno avuto un impatto i bombardamenti israeliani di una settimana fa contro le batterie antiaeree in Iraq (e in Siria), prima dell’attacco contro gli obiettivi di Iran. Così come le notizie diffuse dalla tv israeliana (di estrema destra) Canale 14, di piani per «eliminare» anche l’ayatollah iracheno Ali Sistani, figura paragonabile per importanza religiosa all’iraniano Khamenei. Al Soudani ha chiesto al gruppo Nujaba, tra i più rilevanti assieme a Kataeb Hezbollah nella Iri, di non trascinare il paese nello scontro diretto con Israele. La risposta è stata che la decisione di entrare nel conflitto è «nelle mani della Resistenza», per sottolineare che non appartiene allo Stato iracheno, sempre secondo Asharq Al-Awsat. Ieri Haidar al Lami, membro dell’ufficio politico di Nujaba, ha detto al quotidiano libanese Al-Akhbar, che la sua organizzazione si stava coordinando con l’Iran. Al-Nujaba, è «pienamente coordinato con l’Iran per organizzare i tempi e il luogo di questa risposta» a Israele, ha affermato.
Soudani sa che le sue pressioni sulla Iri non avranno grandi risultati e ora guarda agli Usa per impedire a Netanyahu di colpire anche l’Iraq. Più di tutto punta sull’atteggiamento prudente della sua maggioranza. I partiti della coalizione di governo, tutti favorevoli alla causa palestinese e che considerano Israele un nemico, hanno opinioni divergenti su quanto l’Iraq debba impegnarsi in scontro regionale mentre il paese è ancora impegnato a riprendersi dalle conseguenze della guerra dell’Occidente al presidente Saddam Hussein e dalla lunga occupazione Usa. Il percorso è lungo, tuttavia Baghdad, recuperata una parziale stabilità interna, oggi più di qualche anno fa sembra investire i proventi dell’esportazione del petrolio nella costruzione di infrastrutture vitali – reti elettrica e idrica in testa – e per assistere una popolazione in larga parte povera.
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