Internazionale

L’Iran sospeso tra falchi e colombe: rispondere a Tel Aviv o dialogare

Il presidente iraniano Pezeshkian contro Biden e Netanyahu su un manifesto a TeheranIl presidente iraniano Pezeshkian contro Biden e Netanyahu su un manifesto a Teheran – Epa/Abedin Taherkenareh

Medio Oriente Entra in crisi la storica strategia di «guerra per procura». I pasdran promettono reazioni, il presidente Pezeshkian di risposta intelligente. Di certo l’ultimo attacco israeliano permette agli intransigenti di tenere alta la tensione

Pubblicato 2 giorni faEdizione del 29 ottobre 2024

Il raid israeliano ha destabilizzato le difese iraniane. Tuttavia i media della Repubblica islamica hanno minimizzato l’evento, mentre il leader supremo Khamenei afferma: «(Gli israeliani) ingigantiscono le cose per i loro obiettivi specifici, ma anche minimizzare e dire che non è stato nulla e che non aveva importanza è sbagliato». Il Corpo delle Guardie della Rivoluzione si riserva il diritto di rispondere al momento opportuno.

Sarebbe stato ingenuo pensare che la macchina da guerra israeliana non potesse penetrare le difese aeree iraniane. Il sostegno incondizionato delle potenze occidentali, guidate dagli Stati uniti e con miliardi di dollari dedicati al settore degli armamenti, avrebbe compensato qualsiasi potenziale carenza. Questo era già ben chiaro agli strateghi militari iraniani.

Per questo la strategia di difesa asimmetrica, spesso definita «guerra per procura», è adottata da anni dalla Repubblica islamica per scoraggiare interventi diretti contro il suo territorio. Questa strategia è ritenuta valida da molti in Iran, anche se il conflitto si è ormai esteso parzialmente al territorio del paese.

L’USO IMPROPRIO della legalità e del diritto internazionale per giustificare le distruttive operazioni statunitensi in Iraq e Afghanistan ha convinto il «think tank» iraniano della necessità di costruire un proprio sistema di difesa, senza fare affidamento su potenze esterne, come hanno fatto altri paesi della regione. Promuovere la causa dei popoli privati dei loro diritti in Medio Oriente è stata una tattica efficace per estendere la propria sfera di influenza in un mondo in cui l’unico fattore che guida le azioni politiche delle nazioni è il proprio interesse, privo di considerazioni di diritto, etiche o di coscienza, basato su un doppio standard.

Il brutale massacro israeliano contro i civili a Gaza e in Libano, giustificato in nome dell’autodifesa e sostenuto incondizionatamente dai paesi occidentali, ha conferito a Teheran una legittimità morale agli occhi delle popolazioni musulmane in tutto il mondo, un vantaggio che Teheran intende capitalizzare.

Il presidente iraniano Pezeshkian ha scritto: «Risponderemo con determinazione e intelligenza». Non è chiaro quale ruolo questa «intelligenza» assumerà e quale componente del potere ne uscirà vittoriosa.

Alcuni sostengono che, con Israele bloccato in una situazione di stallo politico, l’Iran debba fare appello per la fine dei conflitti militari nella regione e iniziare un dialogo di pace, dimostrando la propria autorità e legittimità. Tuttavia, ci sono anche esponenti influenti della nomenclatura sciita che teorizzano una guerra totale «tra bene e male», affermando che ne varrebbe la pena anche se metà della popolazione mondiale venisse sacrificata.

L’attacco israeliano è più di un semplice promemoria per il potere di Teheran: rappresenta una sfida aperta. Gli israeliani avrebbero potuto colpire in modo più massiccio, ma gli attuali interessi degli Stati uniti non richiedono un conflitto su larga scala in Medio Oriente. In vista delle elezioni e in una fase di congelamento decisionale tra l’elezione del nuovo presidente statunitense e il suo insediamento, questo avrebbe potuto creare notevoli problemi. Il raid israeliano è stato significativo, ma non abbastanza da costringere Teheran a una risposta immediata. È servito piuttosto a mantenere alta la pressione delle fazioni più intransigenti dell’establishment iraniano affinché accettino la sfida.

L’AMMINISTRAZIONE israeliana ha bisogno del suo acerrimo nemico per spostare l’attenzione del pubblico mondiale e giustificare le proprie azioni contro i civili a Gaza e in Libano. Israele si opporrà a qualsiasi normalizzazione o moderazione delle relazioni tra Teheran e i suoi vicini arabi, un processo che l’attuale governo iraniano ha disperatamente intrapreso. A meno che la Repubblica islamica non smetta di sostenere i suoi alleati armati, che Israele considera una minaccia esistenziale.

Tuttavia, conoscendo la storia, è riduttivo pensare che palestinesi, libanesi e yemeniti combattano per difendere la leadership sciita di Teheran e che, anche con un ipotetico accordo con Teheran, si dissolverebbero le rivendicazioni legittime di questi popoli. Inoltre, il disimpegno nei confronti degli alleati potrebbe costare molto caro all’establishment della Repubblica islamica, mettendo a rischio la sua stessa esistenza.

Il dilemma su come agire torna a farsi sentire in Iran. Una larga parte della società iraniana, preoccupata per il proprio futuro e alle prese con una crisi economica che ha ridotto drasticamente il potere d’acquisto, è stanca di vivere in uno stato di tensione permanente e guarda con diffidenza e sarcasmo alle posizioni del regime. Tuttavia, questo sentimento cambierà sicuramente se l’integrità del paese verrà messa in discussione.

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