Economia

Il governo vara il Psb: torna l’austerità, sette anni di tagli

Il governo vara il Psb: torna l’austerità, sette anni di tagliIl ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni – LaPresse

Il caso Il «Piano strutturale di bilancio» è un libro dei sogni con una logica fallimentare: diminuzione della spesa pubblica per avere la «crescita». Anche tra i sindacati cresce la consapevolezza dell’aria che tira: pessima

Pubblicato 11 giorni faEdizione del 28 settembre 2024

La manovra è ancora una scatola vuota. Ieri il Consiglio dei ministri ha varato con dieci giorni di ritardo il «piano strutturale di bilancio di medio termine» (Psb), cioè il libro dei desideri che consegnerà alla Commissione Europea mentre un passaggio parlamentare è stato previsto dall’otto ottobre. Si tratta di un testo farraginoso sul quale sono stati appuntato molti sogni – chiamate «riforme» – ed è stato messo nero su bianco ciò che davvero aspetta un paese. Per capirlo ci vuole uno stomaco capace di inghiottire tondini di ferro. Ma, tenendo presente le regole capestro accettate dal governo Meloni quando ha firmato il nuovo «patto di stabilità» europeo, da questo Psb è possibile iniziare a tracciare alcune coordinate generali dell’austerità che ci aspetta.

GLI ANNI DI AUSTERITÀ, cioè taglio e contenimento della spesa pubblica, saranno sette. Tanto si è preso il governo Meloni per rispettare gli obblighi di Bruxelles: tagliare ogni anno il rapporto tra deficit e prodotto interno lordo (Pil) dello 0,5%: significa 12-13 miliardi all’anno in meno destinati a servizi, stipendi, assunzioni e quant’altro, a cominciare dalla pubblica amministrazione. Dalla Commissione Europea è arrivata una decisa sollecitazione al ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti e alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni: una procedura di infrazione per deficit eccessivo. Da quest’anno inizierà il taglio suddetto.

IL PIANO STRUTTURALE di bilancio varato dal governo replica i peggiori incubi passati dall’Europa dopo la crisi dei debiti sovrani tra il 2008 e il 2013. Quando parliamo di «austerità» intendiamo, precisamente, l’idea balzana per cui dai tagli alla spesa pubblica – pardon, «spending review» – possano permettere di accumulare «avanzi primari» di bilancio e di trarre risorse sufficienti per finanziare gli investimenti e le riforme. Non solo. Ciò che Giorgetti ieri ha di nuovo chiamato «consolidamento» del bilancio dovrebbe riuscire anche a ridurre il maxi debito pubblico a partire dal 2027. Tanto ci vorrà per smaltire il peso dei bonus edilizi varati dal governo «Conte 2» ai quali quello di Meloni ha attribuito tutti i mali del mondo. Al di là delle ricostruzioni di un’operazione «Superbonus» – tanto problematica, quanto criticabile per le modalità in cui è stata realizzata – a Giorgetti interessa rivendicare una logica economica generale. Si pretende cioè di ridurre il debito e, dai «risparmi», riuscire a «liberare per la crescita risorse oggi destinate a pagare interessi» ha detto ieri il ministro. Dunque, si dovrebbero attendere come minimo tre anni – tanto per il Psb ci vorrà per fare calare il debito pubblico – per iniziare a mettere fieno in cascina. E nell’attesa, nei prossimi tre anni che succederà? S’intende al netto delle penose iniziative come condoni fiscali per raschiare il fondo del barile. E della commedia che stiamo vedendo con le banche alle quali è stato chiesto di dettare al governo le condizioni per dargli qualche spicciolo per un contributo alla «Nazione».

SUCCEDERÀ che la riduzione della spesa pubblica toglierà risorse a cominciare da chi paga le tasse: lavoratori dipendenti, pensionati, ad esempio. E non basterà avere reso «strutturale» il taglio del cuneo fiscale che il governo ha promesso di fare anche nel Psb. I circa 100 euro circa al mese ottenuti dal taglio del 7 per cento per i redditi fino a 25 mila euro e del 6 per cento per quelli tra 25 e 35 mila euro non recuperano il potere di acquisto bruciato negli anni della maxi inflazione e dallo storico blocco dei salari in Italia. Ma il problema diventerà maggiore quando il governo inizierà sul serio a tagliare la spesa sociale per ridurre il deficit dall’attuale 4,3% (ricalcolato dal governo in 3,8%) all’1,5% a regime. In mancanza di una crescita vera (molto ottimista anche su questo il governo) il salasso chiesto dalla Commissione Europea inciderà sia sui redditi che sui servizi. Mettendo in ginocchio in paese che non si è mai ripreso dal ciclo precedente dell’austerità, passando dai terribili anni del Covid.

DEGLI EFFETTI che potranno avere sette anni di aggiustamento strutturale programmati dal governo nel Psb iniziano a parlare i sindacati: Cgil, Uil e Usb ne sono consapevoli. Ieri anche il moderato Luigi Sbarra della Cisl ha iniziato a fiutare l’aria che tira. Questi effetti non saranno presentati come una piaga biblica, ma ammorbiti in una normale attività burocratica fatta di numeretti.

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