Economia

Meloni, la grana Pnrr e la minestra riscaldata di un finto successo

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni con il ministro delegato al Pnrr Raffaele FittoLa presidente del Consiglio Giorgia Meloni con il ministro delegato al Pnrr, candidato a una vicepresidenza della Commissione Ue, Raffaele Fitto – LaPresse

Il caso La presidente del consiglio mattatrice a Cernobbio in un paese povero e indifferente: «Niente bonus» ha detto. Nessuna vera domanda è stata posta dagli illustri economisti presenti su quel ramo del lago di Como. Legge di bilancio: in arrivo sette anni di austerità

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 8 settembre 2024

La minestrina riscaldata di una manovra fotocopia di quella dell’anno scorso è stata rivenduta ieri al Forum Ambrosetti di Cernobbio dalla Presidente del consiglio Giorgia Meloni. Le risorse sono poche non si possono sperperare, basta bonus, ma bisogna cercare una quindicina di miliardi di euro per finanziare il taglio del cuneo fiscale e l’Irpef. In pratica una mancia fino a 100 euro nella busta paga dei dipendenti. Invece di rinnovare i contratti, aumentare i salari, rivedere in senso progressivo la fiscalità e fare investimenti, si riprendono i soldi dalla spesa pubblica.

ALLA PRIMA USCITA PUBBLICA dopo il caso Sangiuliano che ha ubriacato il suo governo nell’ultima settimana, Meloni si è detta impegnata a fare «mille simulazioni» con il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti in vista della presentazione del «Piano strutturale di bilancio» (Psb). Sarà questo il primo passo da fare in vista della legge di bilancio entro il 17 settembre quando sarà varato dal Consiglio dei ministri. Il parlamento avrà solo tre/quattro giorni per approvarlo a scatola chiusa, salvo proroghe ora improbabili. Poi il documento sarà inviato ai custodi dei conti a Bruxelles. I tempi strettissimi già danno l’idea della totale mancanza di discussione sulle politiche di bilancio imposta dal nuovo «Patto di stabilità» che entrerà in vigore dal 2025 e imporrà un’austerità lunga sette anni.

UN SIMILE ORIENTAMENTO non sembra preoccupare nemmeno le opposizioni, tranne qualche voce sparsa. Il problema è intrigante. L’economia non sembra più essere un problema democratico. È una scienza triste, poco commestibile per il mercato dei flussi elettorali. E diciamocelo, anche sui social network, il nuovo bar della politica. Del resto, in un momento di indifferentismo politico (lo chiamava così Gramsci) c’è poco da dire fare e pensare in un paese come l’Italia con le politiche economiche teleguidate come un drone.

NEL DECORATIVO SET della Villa d’Este, dopo le dieci del mattino, ieri Meloni ha mostrato di non avere alcuna voglia – o forse, chissà, nemmeno l’idea – di spiegare alla platea plaudente di lobbisti e gente influente cosa, quanto e dove sarà tagliato per riportare il rapporto deficit/Pil sotto il 3% (e poi stabilmente all’1,5%), riducendo il maxi debito pubblico che veleggia verso il 140% del Pil. Perché di questo si dovrà parlare. Se non ora, almeno in un giorno qualsiasi dei prossimi sette anni.

MELONI, IN COMPENSO, ha rilanciato la disinformazione sulla reale situazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Lo ha presentato come uno degli indubitabili successi del suo governo, presentando come un sacrificio in nome della «nazione» la candidatura di Raffaele Fitto a un ancora imprecisato posto nella prossima Commissione Europea.

FORSE FITTO ANDRÀ A BRUXELLES a rinegoziare la scadenza del Pnrr entro giugno 2026, termine entro il quale l’Italia dovrà restituire i tanti soldi che non sarà riuscita a spendere veramente? Lo sta chiedendo da aprile Giorgetti. Il leghista ha provato a creare un caso europeo. Ma è stato respinto con perdite. Il Pnrr è come le tavole della legge. Sono state concepite da un’intelligenza infallibile, persino divina. Non si toccano. Forse la candidatura alle alte sfere di Bruxelles del felpato Fitto servirà ad ottenere qualche rinvio. Lui, a domanda, ha sempre parlato d’altro. Si può scommettere su una cosa. Appena metterà un piede a Bruxelles Fitto tirerà un sospiro di sollievo. La rogna del Pnrr è gigantesca. Il bello è che nessuno sembra volerci credere. È un altro effetto della mancanza di un dibattito democratico sulle politiche economiche.

I DATI SUI QUALI AVREBBE potuto soffermarsi un politico serio come Meloni pretende di essere sono quelli comunicati il 5 settembre scorso dall’Osservatorio del Forum Ambrosetti, prima dell’inizio della kermesse. Nemmeno una domanda è stata fatta dagli illustri giornalisti presenti sul fatto che un progetto su tre del Pnrr è in ritardo. E che zero chilometri di ferrovia sono stati rinnovati, nessuna stazione è stata rimessa a nuovo, neppure una biblioteca è stata ristrutturata, solo il 10% delle amministrazioni sarebbero in grado di trasferire i documenti sul Cloud. Che cosa ha generato questa situazione? E come il governo intende uscirne?

ALTRE DOMANDE avrebbero potuto essere poste a partire dall’analisi sulle «Scuole disuguali» presentata pochi giorni fa da Save The Children. Le scuole aprono veramente da domani. Sui 975 interventi previsti dal Pnrr avviati per creare nuove mense al Sud e alle Isole, dove meno della metà egli alunni della primaria e della secondaria può avere un pasto, sono state destinate il 38,1% delle risorse, sebbene i fondi finanzino circa il 50% del totale dei progetti. Sei province da Agrigento a Foggia hanno ricevuto meno risorse di quelle che contano su servizi migliori (da Trento a Milano).

A MELONI, IN COMPENSO, è stato lasciato dire che le opposizioni rimpiangerebbero il lavoro di Fitto il quale è uscito provato dall’impresa di non«perdere i soldi». Tutto è possibile, ma è difficile crederlo. Il problema è di Meloni che dovrà sostituire Fitto con un’intelligenza di pari livello. Nell’attesa, non proprio spasmodica, della nuova nomina Meloni ha continuato nel consueto fraintendimento. Lo stesso che è stato evidenziato dalla Fondazione Openpolis che sta facendo una battaglia sulla trasparenza dei dati. Quando vanta i suoi primati sul Pnrr Meloni si riferisce alle risorse già ricevute. L’Italia è prima. Senza considerare gli importi legati alla quinta rata sono già arrivati 102,45 miliardi di euro. Segue la Spagna con 38,41 miliardi. Ma questo dato serve a poco: l’Italia prende più soldi di tutti (194 miliardi). Bisogna valutare il rapporto tra risorse erogate e dotazione finanziaria totale. In questo caso al primo posto troviamo la Francia (76,6%). L’Italia è quarta: al 52,7%.

L’ALTRO INDICATORE usato dal governo quando parla di Pnrr è quello delle «misure attivate». Quegli investimenti cioè già finanziati e «in corso di esecuzione». Ma il dato che conta è quello sulle opere in fase di «concreta realizzazione», cioè la spesa sostenuta. Nei primi sei mesi del 2024 sono stati spesi 8,5 miliardi di euro. Per la Corte dei conti la cifra che dovrebbe essere spesa quest’anno dovrebbe aggirarsi intorno ai 43,2 miliardi di euro. Traguardo che sembra davvero difficile da raggiungere. Nemmeno su questo è stata posta una domanda dalla tribuna di lusso, quella dalla quale erano affacciati gli illustri economisti presenti su quel ramo del lago di Como.

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