Economia

Tutte le domande non fatte a Fitto sul fallimento del Pnrr

L'audizione di Raffaele Fitto ieri al parlamento europeo - foto AnsaL'audizione di Raffaele Fitto ieri al parlamento europeo - foto Ansa

Poveri ma bellici L’audizione lacunosa e surreale al parlamento Ue di Raffaele Fitto, già ministro delegato alla rogna del Pnrr in Italia, a partire dai dati della fondazione Openpolis. Un candidato a gestire fondi europei che lascia in Italia una montagna irrisolta di problemi

Pubblicato circa 7 ore faEdizione del 13 novembre 2024

La domanda non è stata fatta a Raffaele Fitto durante la sua audizione al parlamento europeo da candidato vicepresidente della Commissione Ue. Se il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) non sarà pienamente realizzato cosa può accadere all’economia italiana e in generale al primo esperimento di fondo europeo comune sul quale quasi tutti i partiti, anche in Italia, hanno messo le mani?

Il problema è che ci siamo avviati verso l’ennesima occasione persa. E non sono stati previsti investimenti per il dopo-Pnrr. È un problema noto dall’inizio e ignorato da tutti. «Se non si prevede come fare vivere opere come le case di comunità nella sanità o gli asili nidi con assunzioni di personale che non sono previste o sono precarie di fatto si stanno costruendo cattedrali nel deserto. È sempre stato questo il problema: la mancanza di una visione strategica» osserva Luca Del Poggetto, analista della Fondazione Openpolis che in questi anni ha accumulato una grande esperienza sullo stato del Pnrr.

Fitto ieri ha celebrato in maniera surreale il «successo» del «suo» Pnrr. Tale «successo» è stato desunto dall’attività della Guardia di Finanza che bracca i crescenti casi di corruzione e di malversazione legati al Pnrr. In realtà questo è uno degli effetti di una decisione presa dal governo con la revisione del Pnrr. La necessità di velocizzare la spesa e di recuperare i ritardi che sono sotto gli occhi di tutti ha portato ad allentare i «lacci e i lacciuoli», cioè i controlli della Corte dei Conti, con l’obiettivo di arrivare alla scadenza del giugno 2026 entro la quale dovrebbero essere spesi tutti i 194 miliardi di euro destinati all’Italia tra prestiti e sovvenzioni.

Si sta correndo il rischio dell’infiltrazione della criminalità organizzata pur di impiegare fondi che sono difficili da spendere. E non si bada troppo alla qualità degli interventi e all’utilità delle opere. In questo quadro sono stati tagliati gli interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei comuni: sei miliardi di euro sono stati spostati altrove. Troppo piccoli e complicati da spendere in 18 mesi.

A tale proposito è rivelatrice l’elaborazione di Openpolis sui pochi dati messi a disposizione dal governo. Si conoscono parzialmente quelli sulle spese sostenute per singolo progetto. Quelli conosciuti sono solo i dati aggregati a livello di misura. Ciò significa che Meloni & Co. non intendono fare sapere a che punto è il Pnrr perché emergerebbero i ritardi con il rischio concreto di far fare una brutta figura a Fitto che si candida a gestire il Pmrr a livello europeo. Avendo posto le premesse per il suo fallimento in Italia.

Quello che Fitto ha detto ieri sul «45 o 48% degli obiettivi raggiunti» lascia il tempo che trova. Per Openpolis è sui dati sulla spesa che bisogna ragionare. E questi sono preoccupanti. A giugno 2024 è stato speso il 26% delle risorse, cioè 51 miliardi di euro. In un anno e mezzo si dovrebbe spendere il triplo. Una missione in salita, a quanto pare. Alle ripetute richieste di trasparenza sui dati inviate da decine di associazioni è stata data una risposta interlocutoria. «A noi sembra evidente che si mira a guadagnare tempo» osserva Del Poggetto di Openpolis.

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Ha tenuto banco nell’audizione di Fitto l’ipotesi di destinare, in parte o in toto, i fondi europei per la coesione sociale all’industria delle armi. L’ipotesi ventilata da un articolo del Financial Times è stata sottoposta a Fitto che, giustamente, ha detto che oggi è vietato. Salvo che la Commissione Von Der Leyen non decida, con la complicità suicida degli Stati membri, di proporre dal 2027 in poi una riforma complessiva del programma quadro nell’ambito del progetto di transizione a un’economia di guerra dopo l’elezione di Trump. In tal caso all’Italia sarebbe sottratto un fondo pari a quello attuale di 75 miliardi di euro, cofinanziamenti inclusi. Opzioni poco plausibili a parte, forse si andrà verso la definizione di un «Pnrr numero 2» destinato solo alle armi, sull’onda del rapporto Draghi.

Ma il problema dei fondi di coesione è un altro. Non solo non si riescono a spendere questi soldi, ma una volta stanziati vanno ad arricchire chi li ha già. Nell’audizione nessuno ha chiesto a Fitto la ragione per cui una parte dei fondi per la coesione sociale sono già oggi destinati alle imprese, e non alla transizione verde o alle infrastrutture sociali. E non è stato chiesto perché sta avvenendo la stessa cosa nel Pnrr.

Sulla base dei dati della Corte dei Conti Openpolis ha sostenuto che la revisione del Pnrr voluta da Meloni e Fitto ha comportato la riduzione di 11,5 miliardi di euro inizialmente destinati alle opere pubbliche a vantaggio degli sgravi e degli incentivi per le imprese. Ciò ha comportato il dirottamento di risorse cospicue dai territori in difficoltà, e dai piccoli comuni, soprattutto del Sud, verso le imprese più organizzate che al Sud non ci sono.

«Questa decisione velocizza e gonfia il dato sulla spesa – osserva Del Poggetto – ma pone un problema: si tolgono i fondi dalle opere pubbliche e, come dice l’Ufficio parlamentare di bilancio, rende più difficile controllare alcuni obiettivi del Pnrr. Ad esempio il rispetto della quota del 40% dei fondi al Sud. Con questo tipo di investimenti chi prima arriva, prima alloggia».

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