La giornata di lunedì scorso è stata significativa, per due eventi: l’udienza papale alla Cgil e un convegno sul tema «il cattolicesimo democratico nella politica di oggi», che ha avuto una notevole eco.

Per le parole dell’ex-segretario dei Popolari, Pier Luigi Castagnetti, contro lo «stravolgimento» dell’impianto originario del Partito democratico (Pd), quale rischia di emergere dai lavori del comitato che ha il compito di riscrivere la vecchia Carta dei Valori.
Questo convegno ha portato alla luce una contraddizione: da una parte, nelle parole di Castagnetti, il Pd non può che restare fermo al progetto originario, e quindi va bandito ogni scivolamento verso un’identità di tipo socialista; dall’altra, si ignora come, in quindici anni di vita, tutte le culture politiche fondatrici del Pd (e non solo quella cattolico-democratica) di fatto non abbiano giocato alcun alcun ruolo. E per un semplice motivo: la dimensione stessa della cultura politica era vanificata dall’idea originaria del Pd come partito «post-ideologico», che si reggesse solo sulle «cose da fare».

Castagnetti ha perfettamente ragione a rivendicare con orgoglio il ruolo del cattolicesimo democratico; ma sbaglia completamente bersaglio. Quanti sono preoccupati da questo vuoto di cultura politica (e non sono solo i cattolici, ma anche tanti che vengono dalla tradizione culturale della sinistra italiana, del tutto oscurata nella vita del Pd), dovrebbero volgere la loro attenzione al modello di partito cui si è ispirato il Pd.

E dovrebbero, ad esempio, chiedersi come possano mai emergere davvero aree di cultura politica (e non cordate di potere) se tutto viene affidato alle “primarie aperte” e ad un meccanismo per cui – fuori da ogni principio di democrazia rappresentativa e ben dentro una invece una logica plebiscitaria – sono i candidati-segretario a «fare eleggere» e a nominare gli organismi dirigenti, e non questi organismi ad eleggere un segretario; e come possa esserci davvero un arricchimento reciproco delle diverse tradizioni se in questo partito è mancato persino l’interesse per un vero dibattito politico e culturale.

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Sommessamente, ci permettiamo dunque di consigliare all’on. Castagnetti di rivolgersi, ad esempio, ad un altro intellettuale di area cattolica, il costituzionalista Stefano Ceccanti, assurto oramai al ruolo di defensor fidei dell’ortodossia sulle primarie «aperte»: un chiarimento su questi temi sarebbe auspicabile.

Nel corso dello stesso convegno romano, una relazione del filosofo politico Michele Nicoletti ha proposto un approccio interessante il cattolicesimo democratico, ha detto, non è una «famiglia politica» in senso stretto, ma un’ispirazione, una cultura politica che, ha specificato, è «di parte», e che affonda le proprie radici storiche nell’adesione di alcuni settori della cultura cattolica ai valori delle rivoluzioni americana e francese, contro il cattolicesimo reazionario dell’era della Restaurazione.

Insomma, il cattolicesimo politico è intrinsecamente plurale, si può esprimere in esperienze anche molto diverse tra loro. Tant’è che oggi abbiamo persino di fronte, nuovamente, anche quella clerico-fascista!! E ci possono ben essere cattolici non solo e non tanto liberali, ma anche liberisti in economia; o cattolici che si pensano come «centristi», alla vecchia maniera.

Parimenti, oggi un cattolicesimo democratico può e deve dire molto, tantissimo, ad un nuovo partito della «sinistra» (non genericamente di «centrosinistra»). Ma perché questo avvenga il Pd deve diventare altro: e quindi quella vecchia Carta dei Valori (con il suo elogio, ad esempio, del principio della non-interferenza dello Stato in economia) deve essere lasciata oramai al giudizio degli storici (e basta rileggere quanto poi scrisse Alfredo Reichlin, sul rilievo effettivo che essa ebbe come «atto fondativo» e sulle circostanze con cui nacque).

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E soprattutto il Pd deve cambiare radicalmente il suo modello di partito, il suo stesso modo di discutere e decidere. Che ci riesca è tutto da vedere, ma un qualche soprassalto potrebbe forse ancora esserci.

La sinistra oggi ha bisogno di un partito in cui abbia piena cittadinanza e visibilità la cultura, non dei «cattolici» in quanto tali, ma dei cattolici (e ce ne sono tanti) che si pensano e si autodefiniscono «di sinistra», sulla base di alcuni basilari principi: un’analisi critica spietata del capitalismo contemporaneo, una radicale lotta alle disuguaglianze (con l’abbandono di un ormai improponibile approccio interclassista, peraltro ben leggibile tra le righe della vecchia Carta, come notò criticamente Emanuele Macaluso).

E proprio quando la Cgil viene ricevuta in un’udienza solenne in Vaticano, non possono non venire in mente le parole di Francesco sulla «insostenibilità sociale, ambientale e spirituale» di questo modello di sviluppo. Ecco: un ottimo spunto per il Nuovo Manifesto del Partito democrativo (e non solo, ovviamente).