Le vicende di Soumahoro prima e di Panzeri dopo ci dicono che, se il patologico è soprattutto un ingrandimento del normale, dobbiamo interrogarci su quale sia oggi la normalità dell’essere di sinistra. Quelle vicende ci appartengono? Oppure basta un prenderne le distanze affermando implicitamente o esplicitamente che ciascuno di noi non c’entra e tanto meno poi la sinistra in quanto tale?

Vi è come una sorta di silenzio imbarazzato. Cosa mai avremmo fatto se per caso Soumahoro e Panzeri fossero stati di destra? Ma sono di sinistra. Si sono attaccati alla condizione di essere dei privilegiati e hanno fatto del privilegio una forma di vita nascosta dal paravento dell’antirazzismo, dell’eguaglianza, della giustizia. E se il privilegio fosse stato acquisito e vissuto nelle forme della legalità, ciò sarebbe stato accettato a sinistra? Sarebbe stato accettato a sinistra come al centro, come a destra?

Scrive Primo Levi ne I sommersi e i salvati: «L’ascesa dei privilegiati, non solo in Lager ma in tutte le convivenze umane, è un fenomeno angosciante ma immancabile: essi sono assenti solo nelle utopie. È compito dell’uomo giusto fare guerra ad ogni privilegio non meritato, ma non si deve dimenticare che questa è una lotta senza fine. Dove esiste un potere esercitato da pochi, o da uno solo, contro i molti, il privilegio nasce e prolifera, anche contro il volere del potere stesso; ma è normale che il potere, invece, lo tolleri e lo incoraggi». Forse nelle nostre democrazie questo fenomeno non è più angosciante, ma normale, perché le nostre non sono più democrazie ma oligarchie legittimate democraticamente dove ciò che conta è la scarsa partecipazione, l’ignoranza pubblica, l’apatia politica.

Ciò porta all’allevamento del privilegio e delle diseguaglianze contro cui la sinistra dovrebbe lottare. Lo fa soltanto a parole, perché nei fatti non si preoccupa politicamente, moralmente, organizzativamente di come fronteggiare l’ascesa dei privilegiati e la discesa dei diseguali. In Europa e nel Parlamento Europeo (ma del resto ovunque) le lobby sono legalizzate. Ma tutto ciò che è legale non è detto che sia anche morale. Le lobby sono organizzazioni che promuovono le dinamiche del privilegio. Cosa hanno a che fare con chi dovrebbe lottare contro i privilegi e per l’eguaglianza?

Oggi è più facile e comodo assumere come propria condotta la famosa frase di Miss Thatcher: «Non c’è alternativa!». La sinistra di fatto vi si è arresa con una presa d’atto di una realtà che si propone come realismo e disincanto.

È invece accettazione supina di un mondo che sempre più intreccia privilegio e sfruttamento come dati naturali e pensa che questa sia la normalità. Mark Fischer diceva che è più facile immaginare la fine del mondo che non la fine del capitalismo. Privi ormai di un’immaginazione che sappia affrontare direttamente la realtà, ci auto-inganniamo illudendoci di lottare per tamponare i guasti sociali e ambientali del capitalismo, ma oggi, a differenza di un tempo, finiamo con il favorire l’ascesa dei privilegiati in un gioco teatrale dove ciascuno – destra, sinistra, centro – ha un ruolo da recitare all’interno della sfera del privilegio.

Tutto è normale, tutto è naturale. Se è vero, come pensavano Claude Bernard e Friedrich Nietzsche, che il patologico è un ingrandimento del normale, il problema oggi non è solo ciò che emerge dai contesti in cui hanno operato Soumahoro o Panzeri, ma ciò che si nasconde dentro tali contesti politici, istituzionali, umani che sono vissuti come la normalità di una sinistra imbevuta di neoliberismo, di élitismo, di assuefazione morale al senso del privilegio e al crescere delle diseguaglianze. Ciò che mi spaventa ancora di più del lato patologico è questa normalità.