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Gli afromauritani mai più schiavi

Gli afromauritani mai più schiaviUna cena tradizionale afromauritana a Cincinnati, Ohio – Ap

Ohio Una comunità in continua crescita, da sempre privata di ogni diritto nel suo paese, ha trovato asilo politico in Ohio. E da lì continua a lottare contro l’ultimo apartheid di stato in Africa

Pubblicato 4 giorni faEdizione del 24 ottobre 2024

«Quando mi sveglio la mattina, la prima cosa che voglio sapere è cosa sta succedendo in Mauritania. Amo questo paese, ma mi manca anche casa». La vita americana di Houleye Thiam, 44 anni, inizia negli anni 2000, quando lei e la sua famiglia giunsero in Ohio come rifugiati politici. «Le persone se ne vanno dalla Mauritania perché la loro casa è come una “bocca di squalo”».

HOULEYE THIAM è segretaria generale del Mauritanian Network for Human Rights in the Us, un’organizzazione no profit in Ohio che assiste gli afromauritani nei processi burocratici e legali per ottenere asilo politico e che informa sulla loro condizione nel paese di origine. Dirige il Mauritanian Community Center che impartisce lezioni d’inglese e la Youth and Hope, un’organizzazione da lei fondata nel 2011 che supporta le scuole mauritane rurali fornendo materiali scolastici. Nella vita professionale, è assistente sociale presso l’Ohio Department of Administrative Services, a Columbus.

Dal suo ufficio bianco Thiam racconta la migrazione dei mauritani alla volta degli Usa: «Il fenomeno prese piede a partire dagli anni ‘90, quando alcuni afromauritani si stabilirono nelle città di New York, Memphis, Columbus e Cincinnati». Avvenne in reazione al cosiddetto Passif Humanitaire, un periodo di terrore tra il 1989 e il 1991, quando il regime del colonnello Maaouya Ould Sid’ Ahmed Taya fece arrestare arbitrariamente circa 3mila soldati afromauritani con l’accusa di aver orchestrato nell’87 un colpo di stato, sottopose a torture estreme ed esecuzioni sommarie più di 500 di loro ed espulse 60mila afromauritani – principalmente di etnia Fulani – in Mali e Senegal, usando come pretesto un conflitto transfrontaliero.

LA REPRESSIONE culminò con l’impiccagione di 28 soldati afromauritani il 28 novembre del 1990, nel giorno in cui si celebra l’indipendenza dal dominio coloniale francese, ottenuta nel 1960. Thiam ricorda che «da allora, il potere è stato posto nelle mani dei Beydan», innescando profonde spaccature nella società mauritana.

Samba Thiam, presidente delle Forces Progressistes du Changement

I “mori bianchi” o Beydan, arabo-berberi discendenti da proprietari di schiavi, sono il gruppo etnico demograficamente minoritario che domina i settori politico, economico e sociale, escludendo: gli arabofoni Haratin o “mori neri” che discendono da persone rese schiave; gli afromauritani di etnia Fulani, Soninke, Wolof, Bambara; e gli Abid, che sono persone ridotte in schiavitù.

«La discriminazione razziale deflagrò negli anni ‘60, portando alla pubblicazione de Il Manifesto dei 19 nel 1966», ricorda Thiam. Firmato da 19 funzionari afromauritani, il testo che si opponeva al sistema Beydan e ai suoi tentativi di arabizzazione scaturì da uno sciopero degli studenti dei licei di Nouakchott, Kaédi, Boghé e Rosso contro la decisione di rendere obbligatorio l’insegnamento della lingua araba nelle scuole.

POI FU LA VOLTA del Manifeste du Négro mauritanien opprimé elaborato nel 1986 da alcuni intellettuali afromauritani riuniti nelle Forces de Libération Africaines de Mauritanie (FLAM). Il manifesto denunciava «l’apartheid di Stato» e invitava al contempo «a un vero dialogo nazionale». Alla sua redazione aveva collaborato Samba Thiam, il padre di Houleye, che per questo fu arrestato e imprigionato nel temuto carcere di Oualata: «Mio padre ha raccontato le condizioni atroci in cui furono costretti lui e i suoi compagni in una cella a forma di rastrelliera, incatenati mani e piedi. L’acqua che poteva bere era quella che doveva lui stesso procurarsi in cima a una montagna, gli fornivano solo riso bianco con sopra della sabbia. Ha vissuto in queste condizioni per cinque anni. Fortunatamente, ne è uscito vivo. E all’indomani della sua liberazione decise di lasciare il paese».

SAMBA THIAM OGGI è presidente delle Forces Progressistes du Changement (FPC), è stato membro fondatore del Mouvement populaire africain de Mauritanie (MPAM) e del FLAM. Sopravvissuto a uno dei periodi più bui della Mauritania, il simbolo della resistenza afromauritana andò nel 1990 in esilio con la famiglia in Senegal. Dopo dieci anni, riparò negli Usa come rifugiato politico stabilendosi in Ohio. che diverrà così terra di “ricongiungimento” familiare e amicale.

Nel corso degli anni 2000 sempre più afromauritani punteranno a risiedere a Cincinnati, Ohio city, Columbus. Il picco massimo degli arrivi si è raggiunto nel 2023 – secondo i dati dell’U.S. Customs and Border Protection – con almeno 15.500 mauritani che avrebbero attraversato il confine meridionale dopo un itinerario di voli multitratta, giungendo in Nicaragua e attraversando i paesi confinanti fino al Messico. Tra marzo e giugno di quest’anno se ne contano più di 8.500, una stima in aumento rispetto alle poco più di mille persone dei quattro mesi precedenti.

SE DA UNA PARTE la propaganda razzista e “migrantofobica” di Trump, unita al disagio economico-sociale crescente, ringalluzziscono i violenti gruppi suprematisti bianchi che sono di casa nel Buckeye State, dall’altra Houleye Thiam ritiene che in generale gli abitanti dell’Ohio prossimi alla comunità si comportano da «fratelli e sorelle». In vista delle presidenziali Usa, l’assistente sociale si sta impegnando come volontaria nella campagna elettorale di Kamala Harris. «Non posso dire di tutti, ma la maggior parte di noi afromauritani (con cittadinanza americana, ndr) voterà per lei. Personalmente, cerco di spiegare come Harris e il suo programma siano la migliore scelta per noi».

In Mauritania invece l’unica scelta possibile è spesso quella di partire. «Gli afromauritani non hanno un lavoro, metà di loro non ha ancora un documento d’identità. Se esci di notte e incontri la polizia, vieni trascinato nella loro stazione. Sei fondamentalmente considerato un cittadino di seconda classe. Quando non sei ridotto in schiavitù…», spiega Thiam.

Il Global Slavery Index 2023 stimava che in Mauritania 149mila persone, 32 su mille, vivessero nel 2021 in forme di schiavitù moderna, impiegati in lavori forzati. Il tutto considerando che su una popolazione di appena 4,9 milioni di abitanti, dove il 70% è rappresentato da Haratin e afromauritani, secondo le associazioni locali le rilevazioni sono a ribasso, dal momento che il governo mauritano non consente il censimento delle persone rese schiave, concentrate soprattutto nelle zone rurali.

LA MAURITANIA ha abolito la schiavitù costituzionalmente nel 1981, divenendo così l’ultimo Stato al mondo ufficialmente abolizionista, e ha adottato solo nel 2007 una legge che ne prevedesse la criminalizzazione, seguita poi da un’altra, nel 2015, che ha definito la schiavitù come «crimine contro l’umanità». Misure che sono solo «un modo per gettare fumo negli occhi della comunità internazionale», secondo Houleye, che conclude: «Alla fine, se non puoi cambiare le cose dall’interno, tenterai di andartene».

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