Filippo Mosca, tutte le falle di una sentenza durissima
Dalla prigione inferno in Romania Condannato in primo grado a otto anni, con altri due italiani, per traffico internazionale di droga. Giovedì l’appello. «Se avessi fatto qualcosa almeno potrei rassegnarmi a scontare gli effetti dei miei errori. Invece provo solo rabbia: sono chiuso qua dentro senza colpe», dice il ragazzo dal carcere di Porta Alba. «L’empatia con Chico Forti, Ilaria Salis e le loro famiglie si è amplificata. Spero che il governo italiano si attivi anche per mio figlio», afferma Ornella Matraxia
Dalla prigione inferno in Romania Condannato in primo grado a otto anni, con altri due italiani, per traffico internazionale di droga. Giovedì l’appello. «Se avessi fatto qualcosa almeno potrei rassegnarmi a scontare gli effetti dei miei errori. Invece provo solo rabbia: sono chiuso qua dentro senza colpe», dice il ragazzo dal carcere di Porta Alba. «L’empatia con Chico Forti, Ilaria Salis e le loro famiglie si è amplificata. Spero che il governo italiano si attivi anche per mio figlio», afferma Ornella Matraxia
Tra quattro giorni Filippo Mosca conoscerà il suo destino. Giovedì nel tribunale romeno di Costanza si terrà l’udienza del processo d’appello che lo vede imputato, insieme a Luca Cammalleri ed Eluana C. (questo nome è di fantasia), per traffico internazionale di stupefacenti ad alto rischio. In primo grado sono arrivate condanne pesantissime, otto anni e tre mesi per tutti.
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«Dentro quel carcere in Romania mio fratello si sta spegnendo»«SE AVESSI FATTO qualcosa almeno potrei rassegnarmi a scontare gli effetti dei miei errori. Invece provo solo rabbia: perché sono innocente e sono qua dentro da quasi un anno», dice Mosca dalla prigione di Porta Alba dove è rinchiuso da maggio scorso. Le sue parole escono dalla terribile galera, un ex campo di prigionia per i dissidenti del regime di Nicolae Ceausescu, attraverso la madre, Ornella Matraxia, con cui può comunicare ogni giorno.
È stata lei a gennaio di quest’anno a rendere pubblica la storia denunciando le condizioni in cui era tenuto il figlio: 24 persone in cella, topi, aggressioni, cibo immangiabile e nessuna attività ricreativa. A parte recitare una volta al mese delle poesie imparate a memoria, come i bambini. L’attenzione mediatica ha spinto le autorità romene a spostare i detenuti italiani: adesso in cella sono sei. La sicurezza è aumentata. La lunga pena, però, resta tutta lì.
«SE SARÀ CONFERMATA ci arrenderemo. Il terzo grado richiede troppo tempo. Con la condanna definitiva almeno possiamo chiedere il trasferimento in un carcere italiano. Ma non voglio pensarci: mio figlio è innocente. Abbiamo le prove e chiediamo solo un processo equo. Quello di primo grado non lo è stato», dice Matraxia. Ieri ha espresso soddisfazione per la notizia del rientro in Italia di Chico Forti, detenuto per 24 anni negli Usa. «L’empatia con Forti, Ilaria Salis e le loro famiglie si è amplificata. Ogni loro successo, ogni piccolo passo avanti mi riempiono di gioia e riaccendono la speranza che il governo italiano si attivi anche per mio figlio, affinché le nostre battaglie, le richieste di aiuto, le urla di dolore non rimangano inascoltate», dice. Si prepara al peggio ma continua a sperare. Non smette di leggere e rileggere la sentenza che il 12 dicembre scorso le ha raggelato il sangue, facendole capire che l’incubo era destinato a continuare, forse per anni. Da quelle pagine emergono diversi elementi controversi: la colpevolezza non è stata dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio.
Andiamo con ordine. Il 29 aprile 2023 Filippo atterra a Bucarest insieme alla sua ragazza, Claudia Crimi. In città ci sono altri gruppi di amici. Sono tutti diretti verso il mar Nero, sulla spiaggia di Mamaia, dove tra il 27 aprile e il 3 maggio si svolge il Sunwaves, uno dei più grandi eventi della scena romena di musica elettronica. Il giorno in cui la festa finisce, quando mancano poche ore al volo di rientro in Italia programmato il 5 maggio, il 28enne di Caltanissetta viene arrestato con la fidanzata, poi rilasciata, e i due amici con cui andrà a processo.
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Topi, botte e 24 in una cella. L’incubo di Filippo nel carcere rumenoNELL’HOTEL dove dormono Filippo, Claudia e Luca, nel paese di Navodari a nord di Costanza, è arrivato un pacco intestato all’altra ragazza, Eluana, che non è registrata lì perché alloggia altrove. Per questo il portiere si è insospettito, ha aperto la scatola e chiamato la polizia. Quando i quattro italiani entrano in albergo, dietro la reception ci sono gli agenti in borghese. L’involucro, spedito dalla Spagna, contiene: 22,35 grammi di ketamina; 18,10 grammi di mdma; 48,63 grammi di hashish; 57,58 grammi di «cocaina rosa». Sono quasi 150 grammi di sostanze stupefacenti, un quantitativo superiore alle soglie del consumo personale ma certo non da narcotrafficanti.
Il pacco era rimasto bloccato per alcuni giorni nella capitale, in un ufficio Ups. Sarebbe dovuto arrivare il 28 aprile in un appartamento di Bucarest affittato da Eluana. Secondo il giudice di primo grado era destinato allo spaccio nel festival e tutti e tre gli imputati erano coinvolti nell’operazione. Nonostante gli elementi di prova descrivano posizioni soggettive molto diverse.
SULL’INVOLUCRO contenente le sostanze ci sono nome e cognome della ragazza, che vive in Spagna e ammette di essere l’unica responsabile del contenuto. Lo dice alla polizia, lo ripete mentre è in stato di fermo, lo ribadisce davanti ai giudici. Che però le credono solo in parte: ritengono voglia coprire i suoi complici, le cui responsabilità sarebbero provate dalle intercettazioni ambientali realizzate durante il fermo di polizia e dal contenuto dei cellulari.
Per Christian Bogaru, legale di Filippo, quelle conversazioni sono state registrate senza autorizzazione. Per questo ha chiesto, senza successo, di dichiararle nulle. Gli imputati contestano anche come sono state tradotte e trascritte, dicono che presentano diversi errori. Leggendole nella sentenza, comunque, pongono seri interrogativi sul verdetto. Dall’inizio e a più riprese Eluana afferma chiaramente di essere la proprietaria del pacco. «Ma voi che cazzo c’entrate che non c’era neanche il mio nome in hotel?», dice. E ancora: «Amo’ io sono tranquilla te lo giuro, io sono arrabbiata che qua ci siete voi».
SI CAPISCE CHE Filippo e Luca sono quasi certi di venire liberati a stretto giro. La loro principale preoccupazione è come aiutare l’amica finita nei guai una volta fuori, cercandole un avvocato. L’altra questione che li inquieta è che la notizia dell’accaduto possa diffondersi. «Questa cosa non la dobbiamo dire a nessuno, non deve uscire proprio, che vergogna», dice Filippo. I due in effetti vengono rilasciati ma dopo qualche ora il procuratore riformula le ipotesi di reato e li accusa di traffico internazionale, escludendo dal procedimento solo Claudia.
Altro elemento di prova usato nel processo è il contenuto dei cellulari. Qui la posizione dei ragazzi si differenzia parzialmente. In quello di Luca c’è qualche foto generica di sostanze stupefacenti e il codice del pacco che poi arriverà in hotel. Da quello di Filippo gli inquirenti selezionano un’unica conversazione in cui Eluana dice di aver prenotato un appartamento nel centro di Bucarest. Effettivamente è l’indirizzo cui era destinata la spedizione. La data di consegna originaria, però, è il 28 aprile, ovvero 24 ore prima che Filippo arrivi in Romania. Il ragazzo, alla fine, in quella casa non soggiorna mai.
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Prigione-inferno in Romania, Filippo e gli altri italiani trasferiti in una cella «sicura»CONTRO DI LUI depone un fatto. Il giorno in cui la droga viene consegnata in hotel è a Bucarest con gli altri tre. Tornano tutti insieme a Navodari, in taxi. Secondo le difese Eluana aveva chiesto aiuto per recuperare quel pacco dicendo che al suo interno c’erano dei cosmetici: i ragazzi non erano a conoscenza degli stupefacenti. Secondo il giudice non avrebbe avuto senso affrontare un tragitto di 227 chilometri che costa circa 100 euro per materiale di scarso valore: tutti sapevano della droga. La sentenza, però, non tiene conto di alcune circostanze: la spesa era da dividere in quattro, dunque modica; la prenotazione della camera pagata tempo prima includeva anche quell’ultima notte; all’arrivo in albergo Filippo non va alla reception per ritirare l’involucro, con cui non entra proprio in contatto, ma verso la sua stanza.
Il caso dei ragazzi italiani non è isolato. A margine del Sunwaves si sono registrati altri arresti e alcune severe condanne per crimini legati agli stupefacenti. Elton Gregory, londinese di 30 anni, è stato fermato insieme a quattro cittadini britannici mentre si trovava in una casa verosimilmente usata per lo spaccio dove la polizia ha sequestrato pasticche, cocaina, cannabis e ketamina. Si è assunto la responsabilità di una bustina di quest’ultima sostanza che aveva addosso, ma ha negato di essere coinvolto a qualsiasi titolo in attività di vendita. Dopo nove mesi nella prigione di Porta Alba, nelle stesse condizioni denunciate da Filippo, il ragazzo ha deciso di dichiararsi colpevole. «Sono stato costretto, non avevo scelta – ha detto al sito mylondon.news – Qui le persone ti consigliano di fare così altrimenti i giudici esagerano la pena. Non posso affrontare sei anni di carcere». Con la riduzione di un terzo per la «confessione» ne ha presi quattro, per spaccio.
GLI ARRESTI intorno all’edizione 2023 del Sunwaves e le dure sentenze si inseriscono in un giro di vite sulle sostanze stupefacenti in Romania che ha origine nell’estate 2022. A giugno di quell’anno due giovani muoiono di overdose durante il Saga Festival, nella capitale. Iniziano così, soprattutto a destra, le richieste di tolleranza zero che portano all’inasprimento delle pene contenuto nella legge 45 di marzo 2023, meno di due mesi prima della vicenda che coinvolge i tre italiani.
Dure conseguenze sui consumatori sono sventate solo dall’intervento del presidente della Repubblica, mentre le punizioni per gli spacciatori crescono in maniera considerevole. In particolare la forbice per lo spaccio internazionale passa da 7-15 anni a 10-20 anni. Le condanne di Filippo, Luca ed Eluana sono inferiori soltanto perché, grazie ad alcune attenuanti, alla fine la pena è stata ridotta di un terzo. Ma la base di partenza resta altissima e dunque quando si viene riconosciuti colpevoli non ci sono alternative a una lunga detenzione.
ANCHE PER QUESTO Filippo e la sua famiglia chiedono alla corte di valutare correttamente le prove e far valere, per tutti, un principio fondamentale del diritto: la responsabilità penale è di natura personale.
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