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Emergency si unisce alla flotta civile. La presidente Miccio: «È la cosa giusta da fare»

Emergency si unisce alla flotta civile. La presidente Miccio: «È la cosa giusta da fare»La nave Life Support ha mollato ieri gli ormeggi dal capoluogo ligure ed è diretta nella zona di ricerca e soccorso – Emergency

Mediterraneo «Lavoravamo al progetto da prima che Gino ci lasciasse», dice Rossella Miccio. La nuova nave umanitaria impegnata nel Mediterraneo centrale, la Life Support, è partita da Genova alle 16.51 di martedì scorso. Batte bandiera panamense, è stata costruita nel 2002, può superare i 10 nodi di velocità, misura 51,3 metri di lunghezza e 12 di larghezza. A bordo c’è un equipaggio di 28 persone: 9 marittimi e 19 dello staff della Ong.

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 15 dicembre 2022

C’è una nuova nave nella «flotta civile» che salva vite lungo la rotta migratoria del Mediterraneo centrale. È la Life Support di Emergency. «A terra sarebbe un’ambulanza a cui va indicato l’ospedale più vicino possibile», dice Rossella Miccio, presidente dell’Ong dal 2017. Per l’organizzazione fondata da Gino Strada, scomparso il 13 agosto 2021, non è il debutto assoluto nel Mediterraneo centrale: è già salita a bordo della nave Topaz di Moas nel 2016 e della Open Arms tra l’estate 2019 e marzo 2022. Ma è la prima volta che la Ong parte in missione con una nave tutta sua. La Life Support batte bandiera panamense, è stata costruita nel 2002, può superare i 10 nodi di velocità, misura 51,3 metri di lunghezza e 12 di larghezza.

Rossella Miccio, presidente di Emergency dal 2017 – foto: Ansa

Perché avete mollato gli ormeggi proprio ora?

È un progetto a cui lavoravamo da prima che Gino ci lasciasse. Per allestire la Life Support ci sono voluti tempi tecnici lunghi e siamo riusciti a metterla in mare adesso.

Sul fianco c’è scritto: «I diritti sono di tutti, altrimenti chiamateli privilegi». La frase è di Strada. Cosa direbbe della missione?

Credo sarebbe orgoglioso e la considererebbe necessaria. Tutti sanno ciò che accade in Libia e quali ostacoli e torture le persone affrontano nella speranza di una vita migliore. Ma gli Stati continuano a non assumersi la responsabilità di salvare chi rischia la vita in mare e, a monte, di aprire percorsi regolari di ingresso.

La nave batte bandiera panamense. Difficile che stavolta Salvini, Tajani o chi per loro possano chiamare in causa lo Stato di bandiera. Ma se vi dicessero di sbarcare in un altro paese europeo cosa fareste?

Le convenzioni del mare sono chiare: le operazioni di ricerca e soccorso si concludono quando le persone salvate sbarcano nel porto sicuro più vicino. In questo caso Italia o Malta.

Da Ong che lavora su medicina e diritti umani cosa pensate degli «sbarchi selettivi» di novembre?

Un abominio e una violazione dell’etica medica. Non è possibile definire la vulnerabilità delle persone con un triage di pochi secondo. Soprattutto quando hanno attraversato percorsi individuali particolarmente pesanti. Abbiamo anche contribuito a denunciare all’ordine dei medici questa pratica.

Lo scorso fine settimana tre navi hanno ricevuto il porto in tempi record. Cosa vi aspettate?

Non sappiamo cosa succederà, ma noi siamo tranquilli: è la cosa giusta da fare. Mi piacerebbe che tutte le navi umanitarie fossero considerate per quello che sono: strumenti per salvare persone. Come le ambulanze a terra, a cui va indicato l’ospedale più vicino possibile.

Le navi umanitarie ricevono continuamente accuse: fanno aumentare le partenze, hanno finanziatori sospetti o addirittura collusioni con i trafficanti. In fondo salvare vite nel Mediterraneo o in Yemen e Afghanistan non è tanto diverso. Perché i sospetti riguardano sempre l’azione in mare?

Ce lo chiediamo continuamente. Quando si parla di chi attraversa il Mediterraneo sembra che logica e senso di umanità vadano persi. È irresponsabile che Italia ed Europa strumentalizzino la vita delle persone. Le Ong sono colpite perché sono un target facile, ma il nostro lavoro resta fondamentale: per i soccorsi e per le testimonianze raccolte.

La Life Support dall’alto – foto di Emergency

Sono passati quindici mesi da quando Stati Uniti e Nato si sono ritirati da Kabul. Come è evoluta la situazione?

Un disastro da tutti i punti di vista. Il sistema bancario non esiste. L’economia è praticamente di sussistenza, basata su aiuti umanitari. I talebani non rispettano i diritti di nessuno, in particolare delle donne. 35 milioni di persone sono state abbandonate a una morte lenta. Per noi è fondamentale tenere accesa la luce sul paese, lavorare con afghane e afghani per costruire una quotidianità più dignitosa.

In Ucraina invece la guerra va avanti da dieci mesi e nel frattempo in Italia i pacifisti sono stati accusati di tutto.

Il pacifismo è un tema fondante non solo di Emergency ma del nostro paese. La Costituzione ripudia la guerra. Adesso sembra l’inverso: chiedere la pace, che dal nostro punto di vista non si può ottenere con le armi, sembra un crimine. Noi invece continuiamo a spingere per alternative che escludano l’uso di armi. Soprattutto davanti al rischio nucleare non possiamo più permetterci la guerra.

Nello scandalo delle presunte tangenti che vengono dal Qatar emerge un uso distorto delle Ong, usate come lavatrici per ripulire i soldi o l’immagine di alcuni rappresentanti politici. Che effetto fa a chi di una organizzazione non governativa è presidente?

Molto triste, molto brutto. Chi commette un reato va perseguito, ma bisogna evitare di colpire le Ong in modo indiscriminato. Perché sono parte fondamentale delle nostre democrazie. Andrebbero sostenute e incluse nei processi di decisione democratica, invece sono criminalizzate sempre di più. Questa del parlamento europeo è una vicenda estremamente triste. Ma come non si fa di tutta l’erba un fascio con i parlamentari, lo stesso deve avvenire con le Ong.

Twitter @GiansandroMerli

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