Il grido dei naufraghi in ostaggio: aiutateci. Partono i ricorsi
Mediterraneo I legali di Sos Humanity si rivolgono al tribunale di Catania e al Tar di Roma. La situazione sulle navi volge al peggio. «Non posso violare la legge. Non potrei comunque garantire una navigazione in sicurezza. Sono arrabbiato e triste di essere costretto a questo conflitto», dice il capitano della Humanity 1 rifiutano l'ordine di lasciare il porto. Si sblocca la situazione della Rise Above che si dirige a Reggio Calabria, gli 89 a bordo forse sbarcheranno
Mediterraneo I legali di Sos Humanity si rivolgono al tribunale di Catania e al Tar di Roma. La situazione sulle navi volge al peggio. «Non posso violare la legge. Non potrei comunque garantire una navigazione in sicurezza. Sono arrabbiato e triste di essere costretto a questo conflitto», dice il capitano della Humanity 1 rifiutano l'ordine di lasciare il porto. Si sblocca la situazione della Rise Above che si dirige a Reggio Calabria, gli 89 a bordo forse sbarcheranno
Alle 15 la calma apparente che regna sull’asfalto del molo centrale si interrompe improvvisamente. Il sole sta iniziando a scendere dietro i silos del porto di Catania colorando il cielo di arancione. Dall’imponente nave umanitaria di Medici senza frontiere, la Geo Barents dipinta di bianco e di blu, si tuffano improvvisamente tre persone. Due, raggiunta a nuoto la banchina, rifiutano di tornare a bordo. Msf farà sapere che hanno espresso l’intenzione di chiedere asilo. L’altro, un ragazzo di 20 anni, dice di essersi lanciato solo per aiutare i compagni di viaggio. Imbocca la passerella. Torna dagli altri 213 rimasti sul ponte perché giudicati non abbastanza «vulnerabili».
Quelli alzano il coro «Help us, help us», aiutateci. Sembra ritmato da tamburi. Lo stesso slogan è scritto su grandi cartelli esposti da un lato dello scafo. In direzione del presidio della Rete anti-razzista catanese. Dista solo 200 metri ma in mezzo c’è la polizia e una grata che impedisce l’accesso a giornalisti e solidali. «Freedom, hurryia, libertà», gridano i manifestanti. E annunciano: non ce ne andremo fino a quando l’ultima persona «in ostaggio» sulla nave avrà toccato terra.
«È UNA VERGOGNA quello che sta facendo il governo sulla pelle di queste persone. In Italia c’è una situazione politica preoccupante. Devono sbarcare immediatamente. Ho tanti amici arrivati su un barcone e rimasti a vivere a Catania», dice Vito, 19 anni. I giovanissimi sono la maggioranza tra gli oltre 150 partecipanti: cantano e battono la recinzione. «Ci opponiamo alle gerarchie viste in questi giorni», dice Alfio Mannino, segretario regionale Cgil.
TRA SABATO E DOMENICA sulle due navi bloccate nel porto siciliano sono saliti i medici dell’Usmaf (Ufficio di sanità marina aerea e di frontiera) e hanno selezionato chi poteva scendere e chi no. Minori, donne, famiglie e casi medici sono sbarcati. Gli altri sono ancora a bordo: 35 sulla Humanity 1 e 214 sulla Geo Barents (dopo un’evacuazione medica d’urgenza domenica notte). Le Ong hanno contestato la procedura degli «sbarchi selettivi». Secondo un appello promosso dal team sanitario di Mediterranea e firmato da 250 dottori «viola il codice deontologico». Non è chiaro in base a quale norma sia stata operata la selezione. Le visite si sono svolte in fretta, senza interpreti, né psicologi.
INTANTO IL BRACCIO DI FERRO tra il governo Meloni e le norme nazionali e internazionali si è spostato nei corridoi dei tribunali. Amministrativi per adesso. Il team legale di Sos Humanity – composto da Riccardo Campochiaro, Giulia Crescini e Cristina Laura Cecchini – ha presentato ieri un ricorso d’urgenza al tribunale di Catania per chiedere lo sbarco dei naufraghi al fine dell’accesso alla richiesta di protezione internazionale. Domenica tutti e 35 i naufraghi a bordo hanno presentato la domanda al capitano affinché la inoltri alle autorità italiane, dopo aver ricevuto l’informativa legale da Campochiaro. Oggi, invece, sarà impugnato davanti al Tar di Roma il decreto interministeriale firmato da Matteo Piantedosi (Interno), Matteo Salvini (Infrastrutture) e Guido Crosetto (Difesa).
Per gli avvocati dell’Ong è palesemente illegittimo: se il capitano lasciasse il porto per tornare in acque internazionali anche con un solo naufrago a bordo infrangerebbe diverse norme, su tutte il divieto di respingimento previsto dalla Convenzione di Ginevra. «Non posso violare la legge. Non potrei comunque garantire una navigazione in sicurezza. Sono arrabbiato e triste di essere costretto a questo conflitto», dice il comandante della Humanity 1 Joachim Ebeling, 59 anni. Non eseguirà l’ordine della capitaneria.
PER ORA, INVECE, non sono note azioni di carattere penale. Né contro le Ong, come avvenuto da queste parti con le inchieste del procuratore Carmelo Zuccaro (poi archiviate), né verso le autorità italiane. «Sicuramente si sta verificando un trattenimento arbitrario, ma in questa fase il nostro obiettivo prioritario è far scendere le persone. Alcune associazioni stanno ragionando se presentare delle denunce e anche la procura, se rileva ipotesi di reato, può procedere d’ufficio», afferma Nausicaa Turco, penalista che segue Sos Humanity. Il trucchetto per evitare contestazioni come quelle mosse a Salvini potrebbe stare nell’ordine di lasciare il porto impartito al comandante. Se questo escamotage eviterà la fattispecie del trattenimento arbitrario, o di trattamenti inumani e degradanti, resta da vedere.
INTANTO LE CONDIZIONI a bordo delle navi volgono al peggio. Sos Humanity ha fatto sapere che alcuni naufraghi hanno smesso di mangiare. Mentre il capomissione di Msf Juan Matías Gil ha raccontato che la tensione sta crescendo perché le persone non capiscono la ragione che le costringe a bordo. Alcune hanno avuto attacchi di panico e una è svenuta.
SI È INVECE SBLOCCATA la situazione della Rise Above a cui ieri è stato indicato di dirigersi verso il porto di Reggio Calabria. Sulla piccola imbarcazione di Mission Lifeline la situazione era estremamente complicata con 89 persone in uno spazio di soli 27 metri (altre sei erano state evacuate per ragioni mediche nei giorni scorsi). Da vedere se sbarcheranno tutte o solo i vulnerabili. Resta invece in acque internazionali la Ocean Viking di Sos Humanity nonostante, scrive la Ong, «il livello di disagio mentale dei naufraghi è esploso, alcuni sopravvissuti hanno manifestato l’intenzione di buttarsi in mare e la fiducia nell’equipaggio è erosa dall’assenza di soluzioni».
MENTRE TUTTI gli occhi sono puntati sulle Ong, ieri la guardia costiera italiana ha soccorso quasi 600 persone al largo della Sicilia orientale: 250 sbarcate ad Augusta, 220 a Pozzallo.
Twitter @GiansandroMerli
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