La seconda decisione cautelare sui fermi amministrativi disposti in base al decreto Piantedosi 1/2023 dà ancora ragione alle Ong. Il tribunale di Crotone, con la firma del magistrato Antonio Albenzio, ha interrotto ieri la detenzione della Humanity 1, bloccata nel porto pitagorico dal 4 marzo scorso.

La sospensione del provvedimento di fermo, impugnato dalle legali Cristina Laura Cecchini e Giulia Crescini, arriva inaudita altera parte ovvero senza il contraddittorio con le autorità italiane (capitaneria di porto, questura e guardia di finanza). Questo per la presenza di due requisiti: i motivi dell’opposizione godono di «ragionevole fondatezza»; durante il periodo necessario alla sentenza il fermo potrebbe creare un danno «grave e irreparabile». L’udienza di merito è fissata il 17 aprile.

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LA HUMANITY 1 era stata detenuta per i soccorsi realizzati il 2 marzo, 77 naufraghi in totale. Il caso è emblematico di quello che accade nelle acque internazionali davanti alla Libia e poi nelle capitanerie di porto italiane.

La nave è stata prima minacciata con le armi da una motovedetta di Tripoli e costretta ad allontanarsi da un primo barcone in difficoltà. Successivamente i libici l’hanno raggiunta mentre stava già salvando i migranti da un altro mezzo. Per questo il capitano ha spiegato di non poter rivolgere la prua verso nord: il delicato intervento era già iniziato e sarebbe stato troppo pericoloso andare via. In risposta i libici hanno sfoderato le armi, minacciato i soccorritori ed esploso alcuni colpi. Un militare è perfino salito sul barcone dei migranti. Alcuni di loro, terrorizzati, si sono lanciati in acqua. Così una persona sarebbe annegata.

Questo in mare, dove le pressioni del governo Meloni, insieme alle nuove motovedette regalate dal ministro degli Esteri Antonio Tajani (Fi), stanno rendendo particolarmente aggressiva la sedicente «guardia costiera libica». A terra il cerchio si chiude con il ribaltamento della realtà: le autorità italiane fermano la Humanity 1 sulla base della lettera f del decreto Piantedosi. Quella che punisce modalità di ricerca e soccorso che hanno concorso a creare situazioni di pericolo (sebbene la legge specifichi «a bordo»).

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LE AVVOCATE DELLA ONG hanno contestato tutta la ricostruzione fornendo prove solide: comunicazioni con le autorità competenti; foto del soccorso; video girati dall’aereo Sea-Bird 2 di Sea-Watch.

Sostengono che sono stati i libici gli unici a creare dei rischi, per equipaggio e naufraghi, e sottolineano come la recente sentenza della Cassazione sul caso Asso28 e i report Onu concordino sul fatto che le autorità di Tripoli non sono affidabili. Tutti questi elementi hanno convinto il giudice a interrompere il fermo.

Anche il tribunale di Brindisi, nel caso Ocean Viking di febbraio, aveva emesso un’analoga ordinanza. Per adesso sono state le uniche due decisioni sul decreto anti-Ong di Piantedosi e sono entrambe favorevoli alle organizzazioni umanitarie.

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