Dalle banane alla coca (nascosta tra le banane), così nasce un narco-stato
Ecuador In cinque anni il paese è diventato l’hub logistico dei trafficanti, una amazon dei cartelli che ha travolto tutto
Ecuador In cinque anni il paese è diventato l’hub logistico dei trafficanti, una amazon dei cartelli che ha travolto tutto
Sono passati solo cinque anni da quando l’Ecuador vantava uno dei tassi di omicidio più bassi di tutta l’America latina. Poi, dal 2018 ad oggi, è cambiato tutto: di anno in anno, il paese è diventato uno dei più insicuri al mondo e quello con il maggior incremento del numero di morti violente di tutto il continente. Addirittura del 180% tra il 2020 e il 2021, e dell’82,5% tra il 2021 e il 2022, quando gli omicidi, secondo i dati presentati dal quotidiano on-line Primicias, sono stati 4.603. E tutto indica che il 2023 sarà ancora peggio.
L’esplosione di violenza – concentrata soprattutto nella provincia di Guayas e nella città di Guayaquil ma in aumento anche a Quito, un tempo una delle capitali più sicure dell’America latina – sembra risalire in particolare all’inizio del 2021, con le prime rivolte nelle carceri. È allora infatti che la vecchia rivalità tra bande legate al narcotraffico per il controllo del territorio si era trasformata in una guerra feroce, dentro e fuori dalle prigioni, diventate centri di comando della criminalità organizzata.
Già a fine settembre di quell’anno si era consumato il massacro peggiore della storia carceraria del paese, quando uno scontro tra gang nel carcere di Guayaquil si era concluso con 119 morti e 81 feriti. Ma altri massacri erano avvenuti a febbraio e a luglio sempre del 2021, con un bilancio rispettivamente di 79 e di 22 morti. Da allora sono state almeno 420 le vittime di queste rivolte, favorite e alimentate dalla corruzione imperante nel sistema penitenziario, dove entra senza problemi ogni genere di arma, dall’eccessivo sovraffollamento, dalla totale assenza di programmi di rieducazione.
Nello stesso periodo, il paese avrebbe registrato quello che il portale InsightCrime, specializzato nella criminalità organizzata in America latina e nei Caraibi, ha descritto come un cambio di paradigma: la trasformazione dell’Ecuador da paese di transito a centro nevralgico di lavorazione e di distribuzione della cocaina, in direzione soprattutto di Stati uniti ed Europa, dove arriva spesso e volentieri nascosta tra frutti tropicali.
Solo tre mesi fa, non a caso, nel porto di Gioia Tauro era stato sequestrato un carico addirittura di due tonnellate e 734 chili di cocaina purissima, scoperto in due container di banane provenienti da Guayaquil e diretti in Armenia attraverso il porto di Batumi, in Georgia. E appena tre giorni fa, l’8 agosto, la guardia di finanza di Savona e il personale delle Dogane hanno confiscato circa 92 chilogrammi di cocaina, nascosti anche in questo caso in una cassa di banane proveniente dall’Ecuador.
Un’ascesa, quella del paese nel mercato mondiale della droga, favorita anche dall’accordo di pace tra governo colombiano e Farc, quando la smobilitazione della guerriglia ha provocato cambiamenti strutturali nel traffico di cocaina non solo in Colombia ma anche in Ecuador, dove hanno iniziato a operare, in un quadro molto più frammentato, gruppi dissidenti delle Farc, in alleanza con i cartelli messicani e con altre organizzazioni europee, principalmente dell’Albania, della Bosnia, della Croazia, del Montenegro e della Serbia.
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La «Kompania bello»E al servizio dei cartelli messicani operano varie organizzazioni ecuadoriane: su tutte Los Choneros, a cui il cartello di Sinaloa subappalta parte della catena di distribuzione, e Los Lobos, Los Lagartos e Los Tiguerones, che lavorano invece per il Cartello di Jalisco Nuova Generazione. Gruppi che si giovano tutti della corruzione dilagante all’interno non solo del sistema carcerario, ma anche dell’organo giudiziario, della polizia e dell’esercito. Non a caso, nel 2021, l’ambasciatore Usa in Ecuador Michael Fitzpatrick aveva lanciato l’allarme sulla penetrazione del narcotraffico tra le forze di sicurezza ecuadoriane, riferendosi a generali di alto rango dell’esercito come a «narcogenerali».
Si spiega così come l’offensiva contro la criminalità organizzata scatenata dal governo Lasso, a base di ripetuti stati di eccezione e di una pesante militarizzazione del paese, non solo non abbia prodotto risultati ma abbia anzi provocato svariate denunce da parte delle organizzazioni di diritti umani, fortemente critiche nei confronti di entrambi i decreti emanati dal presidente all’inizio dell’anno: quello che autorizza il porto d’armi per difesa personale e quello che permette alle forze armate di perseguire il crimine organizzato come «minaccia terrorista».
Ma c’è anche una ragione più profonda della deriva violenta registrata nel paese: il drastico taglio della spesa sociale operato già dal governo di Lenin Moreno, il quale, dopo la firma dell’accordo con il Fondo monetario internazionale per un prestito di 6 miliardi e mezzo di dollari, ha inferto un colpo micidiale alla rete di sicurezza sociale del paese, come pure alla tenuta delle istituzioni statali.
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