La «Kompania bello»
Inchiesta dalle coste pugliesi alle montagne del Paese delle Aquile per finire in Ecuador, dove la mafia albanese si è imposta come la realtà narcotrafficante più potente al mondo
Inchiesta dalle coste pugliesi alle montagne del Paese delle Aquile per finire in Ecuador, dove la mafia albanese si è imposta come la realtà narcotrafficante più potente al mondo
«Mi puntarono la pistola in bocca. Poco dopo riuscì a scappare, ma quando chiesi di avere lo status di rifugiata e andai all’ambasciata vidi le stesse persone che mi avevano tenuta sotto scacco». La voce drammatica di una donna albanese, vittima del mercato del sesso, è significativa per descrivere i contenuti della nostra inchiesta. La malavita albanese affonda infatti le sue radici in Italia, agli inizi degli anni ’90, quando inizia ad essere manovalanza delle famiglie criminali italiane. La conoscenza del mare e del contrabbando fanno degli albanesi degli ottimi pony express di sigarette, schiave sessuali ed armi. Traffici clandestini che fanno comodo alle mafie italiane.
IN ITALIA I CLAN ALBANESI iniziano a farsi conoscere per la violenza, l’affidabilità e l’impenetrabile omertà, per un codice d’onore molto simile a quello delle mafie italiane. Sarà proprio un ex collaboratore di giustizia, affiliato un tempo alla mafia foggiana, in una località segreta, a raccontarci di come e quando gli albanesi hanno iniziato a sedersi al tavolo delle mafie italiane.
C’era un prezzario per tutto. Pestaggi, omicidi, contrabbandi vari. Poi però come ci ha confessato l’ex collaboratore di giustizia gli albanesi sono diventati sempre più potenti, iniziando a gestire direttamente le piazze di spaccio in tutta Italia. Non ci sono capi alla «Corleone», la struttura criminosa della mafia albanese è assolutamente orizzontale.
A contare sono i soldi ed il fiuto a convertire il mercato quando è necessario. Le sigarette e la prostituzione iniziano a non rendere più e abbiamo seguito tutta l’evoluzione di questa mafia, sugli scafi stracolmi di marjuana. Il Procuratore di Bari Ettore Cardinali ci ha raccontato le sue operazioni sotto copertura, nei sorvoli aerei e poi nelle missioni in mare. Inseguimenti epici, nascondigli improbabili in grotte ed in rifugi su montagne inaccessibili.
ABBIAMO RICOSTRUITO la caccia a quel business, che ha portato ad una collaborazione transnazionale tra forze di sicurezza italiane e quelle albanesi. Spostando l’indagine da Bari a Tirana, per raccontare la task force contro i trafficanti della mala albanese, arrivando al primo pentito di questa organizzazione.
Il ritratto che ne esce è di gente insospettabile che invece era parte dell’organizzazione dei trafficanti più capaci degli ultimi venti anni. Maestri, impresari, politici. Tutti coinvolti. Da Tirana a Durazzo ristoranti, resort e cliniche sequestrate per la prima volta ai capi dell’organizzazione.
In Albania abbiamo ascoltato la voce di chi fa parte della rete che ci ha racconta di come sia impossibile risalire al capo dell’organizzazione, perché ci si basa su emissari che poi si rifanno ad altri interlocutori, per quadro difficile da ricostruire, questa è la forza principale della mafia albanese.
I SOLDI DEL BUSINESS della marjuana sono diventati negli anni davvero tanti e il crimine albanese non ha più bisogno di fare da corriere alla mafie tradizionali, si mette in proprio e stabilisce prezzi, mercati e investimenti da compiere.
Figure di spicco come quella di Dritan Rexhepi, che evade dalle carceri di mezzo mondo, per poi diventare un boss in Ecuador alla Pablo Escobar, è la parabola di quanto è successo negli ultimi anni. Centinaia di affiliati, affidabili, pronti a tutto, senza alcun tentennamento, per la povertà dalla quale si è scappati e per la grande comunità di espatriati albanesi in giro per il mondo, difficile da tradire.
A rimanere incastrato però in questa spirale di violenza c’è anche chi semplicemente sognava un futuro migliore. C’è anche la storia di chi finisce in Italia per qualche lavoretto in ristorante e che invece viene poi costretto dalla mafia albanese a fare da manovalanza in una piazza di spaccio, massacrato poi di botte in una resa dei conti, a Mantova. Una storia che raconta direttamente dalla famiglia della vittima, in una campagna albanese, lontano dai soldi della mala e con i sogni bruciati da un’Europa che ha tradito il proprio caro. La malavita albanese eleva boss a broker della cocaina, con la conquista di porti strategici, facendo prima leva sulla corruzione in Albania, per poi emanciparsi dal singolo contesto adriatico.
LA MAFIA ALBANESE va oltre. Rotterdam diventa loro, con tutta la tratta che ne consegue, capiscono l’importanza dei porti in Grecia, si affacciano in America latina, spargendo sangue nella regione di Guayaquil, in Ecuador appunto, dove impongono un vero e proprio cartello per la cocaina. In America latina sono tante le voci che abbiamo raccolto di chi è terrorizzato dalle mattanze per il controllo dei porti, e lo abbiamo fatto entrando nei meccanismi di corruzione della dogana, fino ad incontrare un narcotrafficante ecuadoriano che confessa la forza dirompente dei criminali albanesi.
Il documentario «I narcos albanesi» – i cui autori anticipano sul manifesto i contenuti – è il primo episodio della serie “Mafia Connection”, in onda oggi sabato 24 settembre alle 21:25 su Nove, prodotta da Giulia Cerulli di Videa Next Station per Warner Bros Discovery. Le puntate della serie, in onda per quattro sabato sera consecutivi alle 21:25 su Nove, sono condotte dal giornalista Nello Trocchia. Le prossime saranno sulla mafia nel foggiano, sulla famiglia Moccia, veri e propri signori della camorra, per poi chiudere con la caccia a Matteo Messina Denaro.In tv il documentario «I narcos albanesi»
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