Le porte del Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria si sono aperte all’improvviso martedì a pranzo. Così Mohamed Elbriky ha potuto varcare la soglia dell’incubo in cui era precipitato il 7 novembre 2023 e ritornare in libertà. Durante i quattro mesi di trattenimento è stato trasferito tre volte in pronto soccorso di ospedali esterni alla struttura detentiva per «gesti anticonservativi». Tradotto: autolesionismo o, per ultimo, tentato suicidio. Solo tra fine febbraio e inizio marzo sarebbero stati ben sei i trattenuti che hanno provato a uccidersi. In due sono stati ricoverati d’urgenza il 4 marzo, tra questi Elbriky.

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IL RAGAZZO HA 24 ANNI, è nato in Marocco e soffre di tossicodipendenza e disturbi psichiatrici. Domenica aveva incontrato il suo legale, l’avvocato Gennaro Santoro, che il giorno seguente ha presentato un ricorso d’urgenza alla Corte europea dei diritti umani (Cedu) per chiederne l’immediato rilascio. Martedì i giudici di Strasburgo avevano comunicato il numero di riferimento del caso e sospeso il giudizio sulla misura provvisoria in attesa che il governo italiano fornisse informazioni precise su tre punti.

Primo: il quadro dettagliato delle condizioni psichiatriche del cittadino marocchino e tutti i documenti relativi (dai certificati sanitari al registro degli eventi critici). Secondo: le condizioni igieniche e di sicurezza che la persona affronta nel Cpr. Terzo: i servizi medici, di tipo specialistico o generale, disponibili in caso di emergenza.

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NON SONO DOMANDE qualsiasi. Lo si capisce leggendo il ricorso presentato da Santoro. Sul primo punto, ad esempio, denuncia che il ragazzo non è stato sottoposto a una nuova valutazione dell’idoneità alla vita in comunità ristretta dopo il tentato suicidio. Significativa la richiesta del «registro degli eventi critici»: il regolamento sui Cpr di maggio 2022 dispone che l’ente gestore tenga traccia in maniera tempestiva e regolare di tutti i fatti che turbano la vita nella struttura, eppure dall’ispezione realizzata dal Garante nazionale lo scorso dicembre questa documentazione risultava carente.

Le condizioni dei migranti rinchiusi a Ponte Galeria si sono ulteriormente deteriorate dopo la rivolta del 4 febbraio scorso seguita al suicidio di Ousmane Sylla. Nel ricorso si parla di docce non utilizzabili, carenza di biancheria pulita e coperte, acqua spesso sporca e comunque disponibile solo a intermittenza. C’è poi una testimonianza agghiacciante raccolta dalla difesa. «Sono stato in quel Cpr per circa tre mesi. È la peggiore struttura che abbia mai visto – racconta K. R., ex compagno di cella di Elbriky – Sono entrato che pesavo 93 kg e sono uscito che pesavo circa 80 kg».

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LA PARTE PIÙ DURA è quella relativa alla somministrazione di psicofarmaci, problema sollevato anche in altri centri di detenzione amministrativa da inchieste giornalistiche e penali. «Quasi tutti i detenuti sono resi dipendenti da sostanze psicotrope e/o psicofarmaci – continua K. R. – Basta che vai in infermeria una volta e loro ti danno pasticche. Non puoi più farne a meno. La dipendenza è esacerbata dal fatto che le pasticche non te le danno con regolarità. Vai fuori di testa. Puoi scegliere un pacchetto di sigarette o una scheda telefonica al giorno, ma quando sei sotto psicofarmaci fumi tantissimo per cui nessuno chiama più a casa».

Con l’improvvisa liberazione del ragazzo disposta dalle autorità italiane la materia del contendere davanti alla Corte di Strasburgo potrebbe cessare. Così le domande formulate dai giudici rischiano di rimanere senza risposta. «Ci auguriamo che l’Italia chiarisca comunque quale protocollo adotta dopo tentati suicidi e atti di autolesionismo nei Cpr – afferma Santoro – Temo che in questo caso non ci sia mai stata visita psichiatrica nonostante tre tentativi».

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I SEGNALI DI ALLARME, comunque, non arrivano solo dal centro di detenzione della capitale. In quello di via Corelli a Milano, sequestrato e commissariato lo scorso dicembre, «la situazione si fa sempre più grave». Lo denuncia la rete Mai più lager-No ai Cpr, il cui lavoro ha contribuito all’inchiesta dei giudici sull’ente gestore e sugli abusi contro i migranti, che in poco più di una settimana ha contato una trentina di atti di autolesionismo tra vene tagliate, lamette ingoiate e arti fratturati.

Dalle testimonianze raccolte dagli attivisti emerge come a far precipitare la situazione sia stato il decreto del governo che lo scorso settembre ha alzato a 18 mesi il periodo massimo di detenzione amministrativa.