La notizia a casa della famiglia, nella capitale Conakry, è arrivata l’altro ieri. Dieci giorni dopo che Ousmane Sylla si è tolto la vita nel Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) di Ponte Galeria, alle porte di Roma. Si è impiccato nell’area esterna della struttura detentiva. Aveva 21 anni, era nato in Guinea. «La madre non smette di piangere. Si sono riuniti in tanti per capire cos’è successo: le due sorelle, il fratello piccolo, le zie, i cugini. Tutti hanno un’unica preoccupazione: che il corpo torni a casa. Sono molto poveri e vivono una condizione di estrema precarietà», dice al manifesto Elhadj Mohamed Diallo.

HA 35 ANNI ed è presidente dell’Organizzazione guineana per la lotta contro la migrazione irregolare. È stato lui stesso un emigrante, fino al 2017, in Marocco. Al ritorno ha iniziato a occuparsi del reinserimento sociale dei concittadini che rientrano, per scelta o per forza, da un percorso migratorio. Un tentativo spesso difficile, anche perché parte da una sensazione di fallimento.

NEI GIORNI SCORSI Diallo è stato contattato da LasciateCIEntrare, che in Italia si batte per la chiusura dei Cpr, ed Euromed Rights, network di organizzazioni euro-mediterranee che, tra varie attività, cerca di dare nome e cognome ai corpi dei migranti e risposte alle loro famiglie. Ricevuta la notizia della morte di Sylla, Diallo prima ha scritto un post su Facebook, poi è andato a parlare in radio e tv con la speranza di far arrivare il messaggio ai familiari. Ha funzionato: il passaparola ha fatto prima delle istituzioni.

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La foto pubblicata sul social network ritrae il ragazzo trascinato via da tre agenti della polizia locale. È scattata a Cassino, il 6 ottobre 2023, mentre si sta svolgendo un consiglio comunale. Sylla lo interrompe per protestare contro le condizioni di accoglienza del centro di Sant’Angelo in Theodice. Una struttura per minori aperta sei mesi prima e che di lì a poco avrebbe chiuso a causa di proteste e irregolarità. I presenti ricordano un ragazzo spaventato, che racconta in francese di subire violenze. Otto giorni dopo Sylla finisce dietro le sbarre del Cpr di Trapani.

COSA SUCCEDE nel mezzo resta da chiarire ed è materiale per l’inchiesta che i pm della capitale stanno conducendo con l’ipotesi di istigazione al suicidio. Il ragazzo viene portato nella struttura romana per la detenzione amministrativa dei migranti dopo la rivolta che il 22 gennaio ha reso in buona parte inagibile quella siciliana. Da dove, solo un mese dopo l’inizio del trattenimento, la psicologa aveva chiesto il trasferimento in un luogo più idoneo ai bisogni del cittadino guineano, che manifestava un forte disagio psichico e relazionale. La questura, però, si era messa di traverso.

«Le ultime due comunicazioni con la famiglia sono una telefonata alla sorella il 24 settembre e una al fratello circa un mese dopo. Dalla prima non trasparivano segni di disagio mentali, né problemi particolari – racconta Diallo – Nella seconda, invece, il ragazzo era molto preoccupato. Diceva di essere stato arrestato e che quella sarebbe stata l’ultima chiamata perché chi lo aveva messo dentro lo avrebbe ucciso».

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SU UN PROFILO Facebook da lui usato, con uno pseudonimo, Sylla ha postato tra il 2 e il 3 agosto del 2023 alcune foto e dei video in cui sorride e canta. La musica era una delle sue passioni più grandi, insieme al calcio. «È partito per cercare lavoro – dice ancora Diallo – Voleva aiutare la famiglia che è molto povera e oggi vive un secondo lutto: del primo fratello di Ousmane non si hanno notizie dal 2011, è scomparso tra il Marocco e la Spagna».

Forse è anche per questo che Sylla ci teneva così tanto al fatto che il suo corpo potesse tornare a casa. Prima di togliersi la vita ha disegnato un autoritratto sul muro e lasciato un messaggio in francese: «Se un giorno dovessi morire, vorrei che il mio corpo fosse portato in Africa, mia madre ne sarebbe lieta. I militari italiani non capiscono nulla a parte il denaro. L’Africa mi manca molto e anche mia madre, non deve piangere per me. Pace alla mia anima, che io possa riposare in pace».