Italia

Azione popolare contro il Cpr di Roma. «Il sindaco Gualtieri si muova»

Dei migranti nel settore maschile del Cpr di Ponte Galeria foto AnsaDei migranti nel settore maschile del Cpr di Ponte Galeria – Ansa

Migranti Quella capitolina è l’unica struttura dove finiscono anche le donne migranti. Spesso già vittime di violenza. Intanto sulla legittimità della detenzione amministrativa deciderà la Consulta

Pubblicato circa 2 ore faEdizione del 7 novembre 2024

«Altro che esportarla in Albania, la detenzione amministrativa è incostituzionale anche in Italia. Per questo vogliamo che il sindaco di Roma chieda ufficialmente la chiusura del Cpr di Ponte Galeria, una struttura in contrasto con l’identità storica della capitale e con la Carta». Lo sostengono i 39 giuristi e professori universitari che il 16 agosto scorso hanno avviato un’azione popolare rivolta al primo cittadino Roberto Gualtieri, in virtù dei poteri che gli attribuisce il Testo unico sugli enti locali.

La rete di promotori ha già incontrato le istituzioni cittadine. In quell’occasione proprio Gualtieri aveva comunicato l’intenzione di visitare la struttura detentiva alle porte della capitale aperta il 5 agosto 1998: sarebbe il primo sindaco a farlo in 26 anni di quella che molti definiscono una «galera etnica». «Roma Capitale e Città metropolitana di Roma sostengono fortemente l’azione popolare promossa dal mondo accademico sulla chiusura del Cpr di Ponte Galeria», ha dichiarato ieri in una conferenza stampa che si è tenuta nel palazzo della prefettura la consigliera Tiziana Biolghini, delegata a Pari opportunità e politica sociale, cultura e partecipazione. Obiettivo: rilanciare l’iniziativa. Dall’avvio della procedura, infatti, il primo cittadino ha tre mesi di tempo per dare una risposta ed eventualmente attivarsi con il ministero dell’Interno. «Ne aspetteremo uno in più, ma se da Gualtieri non arriveranno azioni concrete il 15 dicembre ci rivolgeremo autonomamente al Viminale, secondo quanto prevede la legge», ha affermato l’avvocato Gennaro Santoro.

La strategia dell’esecutivo, intanto, va in tutt’altra direzione. Proprio ieri il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha ribadito: «Amplieremo i posti disponibili nei Cpr tramite la realizzazione di ulteriori strutture e ripristineremo la piena funzionalità di esistenti». Nonostante il clima politico, comunque, i promotori sono ottimisti: c’è un precedente positivo all’ex Cie di Bari chiuso, ma solo temporaneamente, nel 2012 mentre un’altra azione identica è stata avviata verso il comune di Milano.

Sempre ieri la Coalizione italiana libertà e diritti civili ha presentato il report Chiusi in gabbia. Viaggio nell’inferno di Ponte Galeria. Un catalogo sugli orrori della struttura di detenzione amministrativa, l’unica che prevede anche una sezione femminile: cinque posti in cui finiscono le ultime tra gli ultimi. Tra loro donne vittime di tratta, violenza di genere o lavorativa, per esempio nel settore dell’assistenza domestica. L’ente gestore è la multinazionale Ors, sebbene il contratto sia scaduto, verso cui la stessa prefettura di Roma ha disposto delle sanzioni economiche. Probabilmente sull’onda delle inchieste giudiziarie sui Cpr di Milano e Palazzo San Gervasio, ha contestato alcune violazioni del contratto d’appalto. Il centro, però, resta aperto.

E proprio da Ponte Galeria ha origine un rinvio alla Consulta che potrebbe avere effetti importanti su tutto il sistema della detenzione amministrativa in Italia. È stato firmato il 17 ottobre da una giudice di pace capitolina. Le questioni di legittimità costituzionale, sollevate d’ufficio, sono due: violazione della riserva di legge assoluta e del principio di uguaglianza per la mancata disciplina puntuale dei modi del trattenimento, dei diritti dei trattenuti e dell’autorità giudiziaria competente. Sulla reclusione nei Cpr, infatti, manca una norma primaria. E questo viola diversi articoli della Costituzione che tutelano i diritti fondamentali.

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