Morte di Ousmane, la procura indaga per istigazione al suicidio
Patria Galeria Quattordici migranti arrestati per la rivolta scoppiata nella struttura romane dopo il suicidio del giovane della Guinea
Patria Galeria Quattordici migranti arrestati per la rivolta scoppiata nella struttura romane dopo il suicidio del giovane della Guinea
Due inchieste sono state aperte dalla procura di Roma su quanto accaduto domenica mattina nel Centro per i rimpatri (Cpr) di Ponte Galeria. La più importante riguarda la morte di Ousmane Sylla, il giovane di 21 anni originario della Guinea che si è tolto la vita nella struttura: ieri a piazzale Clodio è arrivata la prima informativa che ha consentito ai al pm Attilio Pisani di avviare un procedimento per istigazione al suicidio, passaggio indispensabile anche per poter effettuare una serie di accertamenti a cominciare dall’autopsia sul corpo del ragazzo. La seconda inchiesta riguarda invece la rivolta scoppiata nel Cpr in seguito alla morte di Ousmane, e per la quale sono stati arrestati 14 migranti.
Un aiuto ai magistrati potrà arrivare dalle telecamere situate all’interno del Cpr ma verrà acquisito anche il messaggio lasciato da Ousmane prima di togliersi la vita: «Vorrei che il mio corpo sia riportato in Africa, mia madre ne sarebbe lieta. – ha scritto il giovane su un muro -. I militari italiani non capiscono nulla parte il denaro. L’Africa mi manca molto e anche mia madre. Non deve piangere per me. Pace alla mia anima che io possa riposare in pace».
A Roma Ousane era arrivato il 27 gennaio scorso dopo gli otto mesi già trascorsi nel Cpr di Trapani. E nella capitale sarebbe dovuto rimanere altri dieci mesi stando a quanto previsto dal decreto Cutro che ha allungato fino a 18 mesi i tempi di detenzione nei Cpr. Una sofferenza del tutto inutile, visto che l’Italia non ha un accordo per i rimpatri con la Guinea. Né, per quanto è stato possibile apprendere finora, da parte del governo sarebbe stata avviata una procedura per un rimpatrio volontario attraverso l’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni.
C’è poi l’inchiesta sulla rivolta scoppiata, secondo la ricostruzione fatta da polizia e carabinieri, intorno alle 9.30 di domenica mattina quando alcuni ospiti del reparto maschile hanno iniziato a dare fuoco ai materassi ed a lanciare vari oggetti. La situazione sembrava essere tornata sotto controllo ma intorno alle 13 un gruppo di migranti ha prima tentato di forzare uno sbarramento e poi ha ripreso a lanciare oggetti contro le forze dell’ordine.
Dopo circa un’ora alcuni di loro, dopo aver forzato una porta di sicurezza, sono riusciti ad accedere in una zona dove erano parcheggiate auto della polizia e hanno cercato di incendiarne una. Contemporaneamente altre persone hanno forzato alcune porte riuscendo ad accedere ad una stanza in uso ai carabinieri. Lì hanno rubato alcuni effetti personali e danneggiato il locale. Per riportare la calma le forze dell’ordine hanno lanciato alcuni lacrimogeni. Solo intorno alle 22 di domenica, le forze dell’ordine sono riuscite ad accedere all’intera struttura. I 14 migranti arrestati sono originari del Marocco Pakistan, Guinea, Cuba, Cile, Senegal, Tunisia, Nigeria e Gambia. Tre i feriti tra le forze dell’ordine, mentre un Caporalmaggiore dell’esercito ha riportato la rottura del tendine di un braccio con una prognosi di 30 giorni.
In un’interrogazione alla Camera al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ieri il Pd ha chiesto la chiusura di tutti i Cpr: «Oggi più che mai alla luce dei continui drammi che si consumano dentro questi centri appare evidente che luoghi di detenzione che non sono compatibili con il rispetto dei diritti fondamentali della persona vanno chiusi», hanno scritto i deputati dem. «Non è accettabile in uno stato di diritto che il sistema di rimpatri di persone che non hanno compiuto alcun reato avvenga in condizioni disumane e in strutture non idonee ad ospitare nessuno».
Una richiesta, quella di chiudere i Cpr, avanzata anche dai deputati Riccardo Magi di +Europa e Ilaria Cucchi di Avs che definiscono i Centri «luoghi di afflizione che non aiutano i rimpatri».
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